Per Matteo Salvini il difficile comincia adesso. La sua vittoria era sin troppo scontata, anche nelle dimensioni: aveva scommesso sull’abbattere il muro dell’80 per cento, e così è stato. Simmetricamente rispetto a Matteo Renzi, il leader leghista ha cercato una nuova legittimazione da parte del proprio partito, e l’ha ottenuta. Per fare cosa? Il sospetto è — per entrambi — che la rinnovata consacrazione serva per affrontare una fase in cui non mancheranno le manovre spericolate.



Un antipasto si è avuto sulla legge elettorale, con la Lega targata Salvini unica a dare sponda alla proposta alla tedesca avanzata dal Pd, metà collegi uninominali e metà proporzionale. Il perché è sin troppo evidente, e si compone di due parti. Da un lato, un partito dal forte radicamento territoriale quale — comunque — rimane la Lega ha tutto da guadagnare da un sistema basato sui collegi. Dall’altra, perché la Lega in questa fase si trova sulla sponda opposta rispetto a qualunque cosa dica Berlusconi. E a questo va aggiunto che Salvini non può non temere un Cavaliere ritornato a cavallo e liberato dall’interdizione dai pubblici uffici. Il che vuol dire che, visto da via Bellerio, prima si vota e meglio è.



Altre manovre spericolate non sono assolutamente da escludere nelle prossime settimane e nei prossimi mesi, e Salvini aveva bisogno di avere la conferma della compattezza del proprio partito. A prima vista l’82,7 per cento che gli hanno attribuito i militanti storici (quelli che votano alle primarie leghiste) sembra persino meglio del 70,1 per cento di Renzi, ma dubitarne è lecito.

Il problema di Salvini è di prospettiva. E la spada di Damocle che incombe sulla sua testa è la prospettiva di una ricomposizione o meno dei centrodestra. Al leader del Carroccio questo scenario interessa solamente in un caso: che sia lui a guidare l’alleanza. Si tratta però di un’eventualità che Berlusconi ha progressivamente sempre più allontanato, anche perché accarezza di tornare a essere lui stesso il  punto di riferimento dei moderati. 



Se Marine Le Pen avesse vinto, contro ogni pronostico, nella corsa all’Eliseo, le prospettive sarebbero cambiate. Ma visto come le cose sono andate in Francia, il vecchio leader di Forza Italia ha buon gioco nel sostenere che la destra sovranista senza il centro moderato è ininfluente anche quando incassa percentuali di tutto rilievo. Per di più i sondaggi certificano continui sorpassi e controsorpassi fra gli azzurri e il Carroccio, quindi neppure questo elemento risulta utile a sciogliere il nodo della leadership, con Fratelli d’Italia che cerca di interpretare il ruolo dei pontieri. 

Una legge elettorale proporzionale in cui non ci fosse interesse alcuno a presentarsi in coalizione sarebbe quindi l’ideale per Salvini, mentre per Berlusconi l’interesse è opposto, cioè puntare a una soluzione che costringa la Lega a riflettere sulla necessità di coalizzarsi. 

In questo braccio di ferro, che si preannuncia assai lungo, Salvini dovrà guardarsi soprattutto dai nemici interni. C’è Bossi, che ha adombrato il clamoroso abbandono in caso di vittoria del segretario uscente alle primarie. Lui però sembra rivolgersi soprattutto ai nostalgici della secessione, a meno che non divenga l’apripista di un’operazione filo-berlusconiana che ha avuto alle primarie il proprio portabandiera in Gianni Fava, ma che ha un punto di riferimento, quando non un vero e proprio ispiratore, in Roberto Maroni. 

L’attuale governatore della Lombardia pare disposto davvero a tutto per garantirsi la rielezione, e di sicuro non si può permettere una rottura fra Lega e Forza Italia. L’ipotesi circolata negli ultimi giorni di un Election Day autunnale fra referendum sull’autonomia speciale della Lombardia, elezioni regionali e politiche anticipate sarebbe stata dal suo punto di vista un autentico toccasana, perché avrebbe costretto Salvini nel perimetro dell’alleanza di centrodestra a tutti i livelli. Un punto è infatti evidente: anche la sua Lega a respiro nazionale non può permettersi di perdere la guida della Lombardia. 

Per evitare che la sua Lega finisca in mille pezzi Salvini potrebbe tentare la carta dei due livelli, alleato con Berlusconi per le regionali lombarde, e mani libere a livello nazionale, sempre che la legge elettorale glielo consenta e che si voti per la Lombardia e per il parlamento nazionale in momenti differenti. Solamente in questo scenario potrà avere la possibilità di manovrare liberamente nel dopo voto politico.

Sullo sfondo rimane l’ipotesi di un appoggio leghista al Movimento 5 Stelle nel caso di una situazione di ingovernabilità conseguente a un voto con il sistema proporzionale. Su questo la distanza con Berlusconi è siderale: piuttosto che vedere un grillino a Palazzo Chigi, Forza Italia sicuramente fornirebbe il proprio appoggio a Renzi e al Pd. Sarà la formula scelta per la legge elettorale a definire se il centrodestra esisterà ancora oppure no.