Cambiare i trattati europei, “se necessario”; “rifondazione storica dell’Europa”. Parole ambiziose, quelle pronunciate dal neopresidente francese Emmanuel Macron per la prima volta ospite della cancelliera Angela Merkel. Le basi della nuova conduzione europea sono già poste. Domenica Martin Schulz (Spd) ha perso nel Land in cui era favorito, il Nord Reno-Westfalia. A questo punto una vittoria della Cdu in autunno è quasi certa e forse non ci sarà neppure bisogno della grande coalizione. Potrebbero doverla fare Renzi e Berlusconi in Italia, un Nazareno di governo alla luce del sole (ma dopo le urne) per arginare l’incertezza e la precarietà di un sistema debole. Ne abbiamo parlato con Antonio Polito, vicedirettore del Corriere della Sera.
Ieri il Pd ha detto che non voterà il testo-base scritto in commissione
Continua il gioco del cerino. Se il partito di maggioranza relativa si mette di traverso, non c’è nessuna speranza che la legge passi. E’ anche vero che il Pd, ad eccezione della Lega, non ha alleati che sostengano la sua proposta e quindi si può immaginare che anch’essa abbia difficoltà a passare, dato che al Senato i dem non hanno la maggioranza.
Una situazione di stallo assoluto.
Sì. Pare non esserci lo spazio per un compromesso accettabile che dia luogo a una maggioranza in entrambe le camere. Siamo ancora in alto mare.
Come andrà a finire?
Il sospetto è che molti attori di questa partita non vogliano cambiare nulla e che all’ultimo momento, di fronte al fatto dimostrato che non si riesce a fare la legge elettorale, propendano per un decreto che armonizzi le leggi elettorali di Camera e Senato.
Cosa pensa della proposta del Pd, il Mattarellum modificato?
Se fosse perseguita con spirito costruttivo, sarebbe migliore del Legalicum, perché è un sistema elettorale e non semplicemente un modo di contare i voti.
Che cosa intende dire?
Intendo dire che il Mattarellium nell’ultima versione Pd è un meccanismo congegnato per trasformare i voti in seggi in maniera rispettosa degli orientamenti dell’elettorato e della necessità di dare luogo ad una maggioranza parlamentare funzionante. I voti di chi vince valgono di più, com’è nella logica del maggioritario, ma almeno per metà dei collegi chi vota può scegliersi l’eletto.
E tuttavia lei sente odore di decreto finale.
Purtroppo sì, perché la frattura tra Pd e resto del mondo è profonda e Renzi non ha cercato di sanarla con un compromesso, anzi ha presentato una sua proposta sapendo che non avrebbe messo d’accordo gli altri. I quali hanno presentato l’italicum bis sapendo che il Pd era contrario.
Lo stallo sulla legge elettorale potrebbe sommarsi alle frizioni sulla partita decisiva della manovra d’autunno.
Sarà la nostra prova più difficile. Quando arriveremo a quel punto sapremo chi governa in Germania e avremo una Ue rimessa in piedi sulle gambe di Merkel e Macron. Sarà un assetto molto sbilanciato a favore della potenza tedesca e potrebbe prendere corpo la proposta, già circolante, di un euro a più velocità.
Cosa significherà per noi?
I nuovo assetto dell’Ue a trazione franco-tedesca sarà costruito su cerchi concentrici. Se non riusciremo a rispondere alle esigenze di bilancio poste dall’Europa, se i programmi di risanamento in cui da anni ci siamo impegnati non saranno ancora rispettati, se continueremo ad avere il debito pubblico più alto dell’eurozona, se saremo ancora la porta di transito verso l’Europa di centinaia di migliaia di migranti, e se avremo una situazione politica con rischi di populismo trionfante o addirittura di ingovernabilità, allora è chiaro che sarà veramente difficile rimanere nel primo cerchio.
Veniamo al caso Boschi. Dove sta il problema?
Nel potenziale conflitto di interessi dell’allora ministro per le Riforme. Se si dimostrasse che la Boschi ha usato la sua autorevolezza istituzionale per favorire una soluzione su misura del padre, cadremmo esattamente nella fattispecie negata dal ministro in Parlamento al momento della mozione di sfiducia individuale.
“Si faccia una commissione di inchiesta sulle banche”, ha detto Renzi. Nel frattempo sono sette giorni che la querela annunciata dalla Boschi contro de Bortoli non arriva.
La commissione d’inchiesta sulle banche è già stata deliberata dal Senato e a questo punto è facile prevedere che passi anche alla Camera. E’ una di quelle idee che raccolgono ampio consenso in Parlamento, perché da sempre in Italia una commissione parlamentare è un’arma che l’opposizione può brandire contro il governo, e che il governo può sempre usare nei confronti di qualche altro potere che magari sarebbe stato chiamato a vigilare.
Più volte lo stesso Renzi ha chiamato in causa la vigilanza di Bankitalia e Consob. Non è tardi per istituire una commissione d’inchiesta? Mancano nove mesi alla fine della legislatura.
Proprio per questo, siccome una commissione parlamentare in meno di due anni non può neanche cominciare i lavori, la mia sensazione è che la proposta abbia soprattutto un profumo elettorale.
Dunque commissione bocciata?
Di fronte a un’altra classe politica e a tempi più lunghi sarei anche convinto della possibilità di raggiungere risultati concreti, ma con questi tempi e con questo clima politico mi aspetto che venga usata solo come arma elettorale.
Per Berlusconi il caso Boschi non esiste (“per quanto è dato a sapere, non vi è alcuna evidenza di reato”). Sono le prove di una “grande coalizione” all’italiana?
Il tema delle banche presenta punti deboli per ciascuna delle forze politiche che si sono alternate alla guida del paese. E’ vero che Berlusconi ha cambiato atteggiamento, presentandosi nella veste del pacificatore. Ha probabilmente fiutato l’insofferenza crescente dell’opinione pubblica per questo clima di rissa continua e intende sfruttarla per tornare centrale. Di più, spera di presentarsi come un elemento stabilizzatore del sistema, utilizzabile come argine contro il populismo.
Allora non ci sono più dubbi. Anche Franceschini ha detto pubblicamente che considera essenziale la presenza di Berlusconi nell’argine contro il populismo.
Ma che questo argine si trasformi in una grande coalizione è presto per dirlo. Un tempo i due maggiori partiti in Parlamento arrivavano insieme al 70 per cento dei voti, oggi potrebbero non arrivare nemmeno al 50.
(Federico Ferraù)