Sulla data delle prossime elezioni politiche giocheranno molteplici fattori. Certamente l’iter della legge elettorale (il cu testo base è stato ieri ritirato dal relatore Mazziotti), che rimane il “residuo” di senso di una legislatura per molti versi fallimentare. E sebbene la votazione in Parlamento di un nuovo sistema di voto aprirebbe immediatamente la porta allo scioglimento delle Camere ed al ritorno alle urne (che tutti a parole chiedono), ben pochi (per non dire nessuno) sembrano essere seriamente interessati ad una conclusione troppo affrettata dell’Esecutivo Gentiloni, sia per la situazione economica non proprio rosea (chi vorrebbe ereditare una finanziaria da 20 miliardi?), sia soprattutto — e questo è il secondo elemento destinato a pesare sulla data del voto — per la necessità di sistemare le beghe interne ai vari schieramenti  anche per i risvolti locali che comportano.



Escluso i 5 Stelle che, fatti salvi i problemi interni e le peripezie del caso Roma, non hanno da preoccuparsi di partner od alleati, per tutti gli altri grandi protagonisti del panorama politico nazionale invece il risultato della partita interna ai tradizionali “poli” sarà determinante sia per la scelta del sistema elettorale (soprattutto per quanto riguarda il premio di lista o di coalizione), che per la decisione sullo scioglimento delle Camere.



Ma l’elemento che più sarà destinato ad incidere sulle precedenti situazioni ed in ultima istanza sulla data del voto saranno le due tornate amministrative: quella del prossimo 11 giugno, con la quale si stabiliranno i reali rapporti di forza tra le compagini (se FI dovesse riportare un buon risultato Renzi sarebbe, giocoforza, costretto a ripiegare sul proporzionale), ma soprattutto la tornata delle regionali del 2018 in cui al voto andranno regioni importanti come Lazio, Molise, Friuli-Venezia Giulia e, soprattutto, la Lombardia per la quale le rese dei conti sono già iniziate soprattutto nella Lega.



A questo quartetto potrebbe aggiungersi, buona ultima, la Toscana, occhio nel ciclone di molte partite alquanto pericolose e per niente definite (banche, Consip eccetera).

I dati emersi in occasione delle recenti primarie, con un calo dell’affluenza (-46 per cento) ben oltre il dato nazionale inducono molte riflessioni a partire dalla perdita di quel senso di appartenenza che ha storicamente contraddistinto la sinistra toscana ed alla cui perdita avrebbe lautamente contribuito lo scissionista ed attuale governatore Enrico Rossi. Elementi che non potranno non pesare nelle decisioni del Nazareno. Con Rossi in sella, infatti, il Pd toscano rischia una figuraccia “storica” anche alle politiche. Esattamente il contrario delle ambizioni di Renzi che invece conta molto su un buon risultato nel Granducato. Da ciò il riecheggiare quotidiano di voci — per il momento sempre smentite dall’establishment locale — sulla possibilità di elezioni regionali anticipate.

Un Rossi senza scranno sarebbe sicuramente molto meno ingombrante per il Pd. Eppure la strada della sfiducia (o delle dimissioni consigliate o indotte) appare irta di ostacoli. A termini di legge, l’attuale governatore della Toscana potrà candidarsi nuovamente qualora la legislatura del suo secondo mandato dovesse interrompersi prima dei due anni e mezzo più un giorno dal suo inizio. Ovvero prima del 26 dicembre 2017. Fino a quella data Rossi potrà dormire sogni tranquilli e anche le questioni nazionali, c’è da immaginarlo, dovranno attendere. Dopo sarà tutta un’altra storia! E il voto anticipato in Toscana sarebbe tutt’altro che scongiurato soprattutto se si dovesse andare verso un proporzionale con eventuale premio di maggioranza alla lista.

Il quel caso il Pd si troverebbe nella poco invidiabile situazione di combattere gli scissionisti (Articolo Uno di Bersani, D’Alema e Rossi) a livello nazionale e sostenere, a livello locale (la Toscana è governata da un monocolore dem), il governatore Rossi che da sinistra farebbe fuoco e fiamme contro Renzi candidato premier.

Una contraddizione insostenibile destinata inevitabilmente a deflagrare con ripercussioni sui tempi del voto e una realistica ipotesi di election day (politiche-regionali compresa la Toscana) nella primavera 2018.