Non si placano gli echi riguardanti il caso Russiagate per Donald Trump. Il Presidente degli Stati Uniti si trova sempre più impelagato nelle accuse che lo hanno visto, secondo fonti autorevoli del quotidiano Washington Post, rivelare personalmente segreti di Stato, riguardanti il terrorismo e l’Isis, al Ministro russo Lavrov e all’Ambasciatore russo in America. La difesa d’ufficio del Presidente non avrebbe convinto detrattori ed opposizione alla Camera e al Senato: il Partito Democratico avrebbe pronta la richiesta di Impeachment e ci sarebbero anche alcuni Repubblicani pronti a sostenere l’accusa, che potrebbe essere portata avanti nel caso in cui venisse accertato che Trump, in qualità di Presidente degli Stati Uniti, si sia reso colpevole di atti che sfociano nel tradimento, nella corruzione o altri atti criminosi verso lo Stato. Una formula piuttosto generica che in passato ha avuto esiti controversi verso altri Presidenti, anche se sicuramente per Trump la situazione attuale non può definirsi semplice.
Questo perché da una parte la semplice rivelazione di informazioni secretate non potrebbe far scattare automaticamente l’Impeachment. Questo perché è nella facoltà del Presidente degli Stati Uniti rivelare, se considerato necessario per la sicurezza nazionale, informazioni anche sotto il segreto di Stato. Dall’altra però bisogna capire la reale natura delle informazioni. Il Washington Post ha parlato di incontri diretti fra Trump e il Ministro degli Esteri della Russia Lavrov, ma il New York Times nell’edizione odierna ha rilanciato parlando di una regia dell’intelligence americana che si sarebbe esposta in prima persona, con il beneplacito di Trump, nel rivelare informazioni segrete ad Israele. Trump è nell’occhio del ciclone d’altronde dal momento del licenziamento dell’ex numero uno dell’FBI, James Coney. Alla luce del quadro che sta emergendo, la rimozione di Coney sarebbe da legare alle ingerenze del Presidente nel caso Russiagate.
Per capire se il Russiagate può costare davvero l’Impeachment a Donald Trump, bisogna passare in rassegna i precedenti e scoprire che questa procedura è stata usata in maniera abbastanza arbitraria verso i precedenti Presidenti degli Stati Uniti. Solo Andrew Johnson nell’Ottocento e Bill Clinton in tempi recenti hanno dovuto affrontare l’Impeachment. Il primo riuscì a cavarsela per un solo voto per la violazione di una legge, il Tenure Office Act, che comunque gli costò la mancata candidatura da parte del Partito Repubblicano. Il secondo, implicato nel caso della relazione con la stagista Monica Lewinski che molti ricorderanno, fu assolto per dieci voti per l’accusa di oltraggio alla giustizia. C’è anche un terzo caso che fa riflettere: Richard Nixon, dopo lo scandalo Watergate, sarebbe andato incontro ad un sicuro Impeachment, ma decise di dimettersi proprio a causa dell’esito scontato della votazione. Con la maggioranza in mano ai Repubblicani, i Democratici cercano dunque prove schiaccianti per mettere in crisi Donald Trump sul Russiagate.