Il Pd ha formalizzato il nuovo testo base della legge elettorale: il Rosatellum, dal nome del capogruppo Pd alla Camera Ettore Rosato. Andrà in aula il 5 giugno. E’ un sistema misto, al 50 per cento maggioritario e al 50 per cento proporzionale, con soglia di sbarramento al 5 per cento. Ci saranno “303 collegi per Camera, 11 per il Trentino Alto Adige, uno per la Valle D’Aosta, 12 esteri e 150 collegi del Senato”, ha spiegato il relatore Emanuele Fiano. Gli elettori troverebbero la scheda unica, per collegio uninominale, nella quale i candidati sono associati a una delle liste della coalizione di riferimento o a una lista in caso non ci sia una coalizione. Quindi l’elettore indicando il nome o la lista o tutti e due dà un voto a colui che vuole far vincere nel collegio uninominale e contemporaneamente aggiunge un voto al conteggio nazionale del riparto proporzionale. Qui iniziano i problemi, secondo il costituzionalista Stelio Mangiameli.
Perché, professore?
La prima considerazione che viene in mente è che questo sistema, checché ne dica il Pd, non ha nulla di tedesco; anzi, si muove in una direzione opposta. Basti considerare che il 50 e 50 tra maggioritario ad un turno e proporzionale non avrebbe alcun elemento di contatto, non c’è lo scorporo dei collegi (ovvero si fa il calcolo dei seggi ottenuti con il proporzionale e si sottrae il numero dei seggi ottenuti con il maggioritario, ndr).
Questo cosa implica?
Implica che le due partite diventano indipendenti e, guarda caso, proprio nella quota maggioritaria dei collegi uninominali si giocherebbe la partita della coalizione, riproponendo la possibilità di acquisire seggi marginali attraverso l’apporto dei partiti minori, anche sotto soglia. La quota proporzionale, all’opposto, diventa fortemente selettiva, per via della soglia che nella proposta è elevata al 5 per cento nazionale (nel Mattarellum era il 4 per cento).
Con quali conseguenze sul piano politico?
Vi sarebbero solo quattro partiti certi di superarla (Pd, M5s, Lega e FI), per gli altri sarebbe problematica e solo alcuni partiti minori (di sinistra) sarebbero aggregabili, ma con un esito fortemente incerto. Insomma, sarebbe tutta una partita giocata sul voto utile, sia nel proporzionale che nel maggioritario e, di fatto, rivolta a isolare chi, come il M5s, ha dichiarato la sua indisponibilità a costruire delle coalizioni in vista della consultazione elettorale.
La scelta del Pd di introdurre nella legge elettorale una quota maggioritaria — dicono i dem — è dovuta alla volontà di non tornare alla prima repubblica e di garantire la mitica “governabilità”. E’ un’argomentazione fondata?
Non è detto che questa proposta sia in grado di assicurare di per sé la governabilità, perché i partiti godono di alcune concentrazioni di consenso nelle diverse aree del Paese: il Pd al centro; FI e Lega al nord; e M5s al sud. Con il maggioritario si uscì dalla prima repubblica; con il proporzionale, oggi invocato da Berlusconi, si ritornerebbe alla prima repubblica. Il problema reale, però, è evitare i vizi della seconda repubblica.
Quali sarebbero?
Sono stati, con il Mattarellum, la sopravvalutazione dei partiti minori nella quota maggioritaria; e con la legge Calderoli, la mancanza d’interesse dei partiti minori a collaborare nell’azione di governo, nonostante la vittoria elettorale della coalizione di appartenenza.
Il sistema elettorale proposto dal Pd “non obbliga ma favorisce le coalizioni” e aiuterebbe anche “a ricostruire un centrosinistra” che “dovrebbe partire dall’attuale coalizione di governo, che comprende anche Mdp e Alfano”. Lo ha detto il capogruppo Pd alla Camera, Ettore Rosato. Come commenta?
Certamente nessun partito oggi è in condizione di governare da solo, ma le coalizioni andrebbero costruite in modo trasparente ed efficiente. Come in Germania, appunto. Lì le coalizioni sono dichiarate agli elettori senza formalità di legge e ogni partito corre da solo sia nella quota maggioritaria che in quella proporzionale e la soglia di sbarramento è al 5 per cento o — ma questa è una finezza del sistema — si partecipa al riparto proporzionale con il conseguimento di almeno tre mandati diretti.
Insomma gli elettori tedeschi sono in condizione di comprendere le azioni dei partiti e di sapere quale effetto sortisce il loro voto.
Da noi, invece, con il sistema proposto i partiti decidono al posto degli elettori che non sanno di quale partito è il candidato del collegio e neppure si sa se i partiti della coalizione elettorale riusciranno a collaborare effettivamente nell’azione di governo.
Berlusconi finora ha posto una condizione irrinunciabile: no alle preferenze, “strumento che può falsare la democrazia e in alcuni casi può alimentare corruzione e malcostume”. E’ vero?
In realtà le preferenze oggi non le vuole nessuno, perché la classe politica nazionale non ha un radicamento territoriale. Se vi fossero le preferenze sarebbero eletti solo i consiglieri regionali o comunali, che candidandosi alle politiche, anche da soli e contro i loro partiti, sarebbero in condizione di prevalere su coloro che attualmente siedono in Parlamento. La corruzione a livello nazionale c’è comunque e a prescindere dal voto di preferenza.
Perché Renzi si ostina a volere la proposta che ha presentato?
Essenzialmente la proposta del Pd consentirebbe solo a questo partito di potere manovrare in tutte le direzioni. Il M5s dichiara di continuo che non è disponibile per alleanze e così regala l’intero arco politico al Pd. Berlusconi non è detto che abbia tutta questa voglia di andare insieme a Salvini e alla Meloni, per cui potrebbe rendersi disponibile; gli attuali alleati di Renzi, per la loro salvezza, sperano in lui, più che in Berlusconi, e anche Articolo 1-Mdp, nonostante la scissione, potrebbe allearsi solo con Renzi.
Poter manovrare in tutte le direzioni, ha detto. In che modo e perché?
Se Renzi convince gli elettori che è lui a dare le carte, quel po’ di maggioritario che ci sarebbe nella legge elettorale, anche se usato maldestramente, potrebbe giovare al Pd ad avere un certo vantaggio elettorale, soprattutto se non c’è lo scorporo, e la necessità post-elettorale di avere un governo farebbe il resto, come nel 2013. In Italia non si è mai votato due volte a distanza ravvicinata; neppure nel 1994, quando a pochi mesi dal voto l’alleanza tra Berlusconi e Bossi si ruppe e cadde il governo uscito dalle urne.
La proposta Rosato è costituzionale?
Non vedo grandi problemi di costituzionalità nella proposta 50-50. La frode agli elettori non sarebbe, come con l’Italicum, nella violazione della Costituzione, bensì nell’uso pasticciato che se ne vuole fare.
Andrebbe modificata, migliorata? In che modo?
Modifiche e migliorie sono sempre possibili, soprattutto se volute. Sarebbe auspicabile che i partiti dichiarino le loro alleanze prima delle elezioni, ma evitino di fare ammucchiate nei collegi uninominali o nelle liste di collegio. Da questo punto di vista, perciò, sarebbe auspicabile la previsione dello scorporo dei collegi uninominali dalla quota proporzionale, per permettere ai partiti più piccoli di giocare una loro partita elettorale autonomamente e responsabilmente e, di conseguenza, la stessa soglia di sbarramento potrebbe ragionevolmente essere abbassata di un punto percentuale, al 4 per cento. In questo modo si fugherebbe anche la maldicenza che questa legge elettorale è funzionale ad isolare il M5s.
Qual è la posta in gioco nella partita della legge elettorale?
Secondo me è importante evitare che ricominci con la legge elettorale la giostra degli ultimi tre anni, come è stato con le riforme poco credibili che sono state fatte dal governo Renzi. Gli italiani sono normalmente intelligenti e pensare di prenderli in giro con una legge elettorale pasticciata non è sano.
E l’autunno non sarà facile.
Il futuro prossimo sarà difficile, perché non ci saranno i vantaggi degli anni passati. Dopo l’estate finirà il Qe della Bce. All’Eliseo c’è già Macron e a Berlino sederà ancora la Merkel; ma il tempo di concedere qualcosa all’Italia sarà finito già da un pezzo. Dovrebbe prevalere il senso di responsabilità e un po’ di coesione nazionale sulla legge elettorale non guasterebbe.
(Federico Ferraù)