“Di accoglienza, di redistribuzione nei comuni, di Cara (Centro accoglienza richiedenti asilo, ndr) parlo il meno possibile, quello che ci dovrebbe interessare è trovare il modo di fermare l’invasione” dice al sussidiario Paolo Romani, capogruppo di Forza Italia al Senato e membro della commissione Esteri di Palazzo Madama, nel giorno del corteo “Insieme senza muri” promosso dal comune di Milano e da una variopinta galassia dell’accoglienza, 100mila presenze secondo gli organizzatori. “Quest’anno — spiega Romani — destiniamo ai migranti 5 miliardi. E gli italiani che sono in stato di povertà?”.



Fermare l’invasione, lei dice. E’ un problema continentale. Stiamo almeno facendo la nostra parte?

No, perché la nostra politica estera è troppo debole. Però devo dire che l’indagine conoscitiva che abbiamo chiesto e ottenuto noi di FI in commissione Difesa ha almeno evidenziato i punti critici del traghettamento dalle coste libiche. Ci sono Ong, santificate e fortemente ideologizzate, che hanno detto molte bugie su ciò che avviene in prossimità delle coste libiche, vedasi lo spegnimento dei trasponder. 



Cosa dovremmo fare?

Intanto sappiamo che cosa succede. Oggi gli scafisti sanno che da Sabrata o Zuara basta fare 5-6 miglia per avvistare le navi che aspettano i gommoni per prelevare i migranti. Il 50 per cento dei cosiddetti salvataggi avviene con avvistamenti diretti da parte di Ong di questi canotti e senza più passare per l’Mrcc di Roma (Maritime rescue coordination centre, ndr). La nostra guardia costiera coordinava il 90 per cento delle missioni, oggi sono scese al 10.

Perché parla di “cosiddetti salvataggi”?

La convenzione internazionale di Amburgo, che è stata recepita dall’Italia nel ’94, obbliga chiunque a salvare i dispersi in mare. Il problema è che oggi non si tratta più di soccorso, perché dalle coste libiche parte gente che sa di essere recuperata, o meglio parte apposta per essere recuperata. Questa fattispecie non è compresa in nessuna regolamentazione internazionale, Amburgo non la prevede.



Lasciamo i gommoni alla deriva?

Certamente no. Ma il “porto sicuro” secondo l’accezione internazionale non può, non deve trovarsi solamente in Italia. Visto che le navi Ong sono avanzate sempre di più e le navi militari italiane e internazionali sono arretrate, occorre, ed è quello che chiediamo noi, che l’operazione EunavFor Med veda l’applicazione della sua terza fase e si aiuti la guardia costiera libica a fare ciò che è già stato fatto in altre occasioni, e cioè che i canotti siano presi e riportati da dove sono partiti.

Chi deve muoversi?

Ci vuole l’iniziativa del governo o una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu.

Eppure EunavFor Med è una operazione decisa dal Consiglio affari esteri dell’Ue.

Sulle frontiere l’Europa ci ha mollati, e i paesi europei se ne fregano.

Proprio loro, che dovrebbero accollarsi la redistribuzione delle quote.

A me la ricollocazione, che dovrebbe funzionare ma non viene fatta in modo serio, interessa relativamente. Va affrontato il problema nei paesi di partenza.

In un comunicato del 17 maggio, il ministero della Difesa ha smentito le “notizie relative all’invio di militari italiani in Niger”. Perché, se così fosse?

Se così fosse, sarebbe un’ottima idea, perché dal confine Niger-Libia passa il 90 per cento di coloro che poi arrivano sulle coste della Libia. L’accordo siglato da Minniti con le tribù del sud della Libia è una buona cosa, ma non se ne vedono i frutti. Non so nemmeno se sia operativo, questo lo sa il governo. Però…

Però?

Un intervento diretto delle forze armate italiane potrebbe sicuramente ostacolare la catena del profitto di tutti coloro che lucrano sul passaggio dei migranti provenienti dalle fasce subsahariane.

Il comunicato della Difesa arriva dopo la richiesta congiunta di Minniti e del suo omologo tedesco de Maizière di un’impegno europeo alle frontiere a sud della Libia. Lei ne sa qualcosa?

Ho visto la cosa sui giornali, non ne so molto di più. C’è da dire che Niger e Mali sono un’area di influenza francese, con anche qualche interesse da parte tedesca, e potrebbe essere che le due cancellerie non siano così felici di avere anche l’Italia da quelle parti. Ma ripeto, non ho informazioni dirette in merito.

Non crede che puntando su Fayez al Serraj in Libia l’Italia abbia perso la scommessa?

Abbiamo scelto l’interlocutore riconosciuto dalla comunità internazionale. Però è vero che Serraj sembra asserragliato nel porto di Tripoli e sicuramente non controlla né Zuara né Sabrata, le spiagge dove viene imbarcata la quasi totalità dei gommoni.

Lei cosa farebbe se fosse al governo?

Aprirei un canale di trattativa anche con le milizie che in parte controllano le coste e in parte gestiscono direttamente i flussi migratori. In Libia ci siamo, conosciamo il terreno, abbiamo l’unica ambasciata aperta; sono fattori che dobbiamo sfruttare.

(Federico Ferraù)