Sembra di rivedere la profezia di Highlander: dei due ne resterà soltanto uno. Fra Matteo Renzi e Beppe Grillo è ormai guerra senza quartiere e senza esclusione di colpi. E lo scontro finale appare ormai dietro l’angolo. E’ come se il centrodestra non esistesse, e i leader di Pd e Movimento 5 Stelle si riconoscessero ormai come gli unici due sfidanti nella battaglia elettorale prossima ventura, che la veemenza delle polemica fa apparire sempre più vicina.



Questa operazione politica ha un sotteso: immaginare che il centrodestra non saprà ritrovare le ragioni dell’unità in vista del voto, vuoi per carenza di leadership, vuoi per divergenze insanabili di prospettiva fra i suoi protagonisti. Di più, immaginare che che la linea di frattura dello scontro di domani, quello fra populisti ed europeisti, o — se vogliamo — fra politica ed antipolitica, passi esattamente nel cuore dell’area moderata, con Berlusconi spinto verso una qualche forma di riedizione del patto del Nazareno pur di sbarrare ai grillini la strada verso Palazzo Chigi, mentre Salvini e Meloni potrebbero offrire a Grillo e ai suoi i voti per far nascere il primo governo pentastellato, ammesso che ve ne siano le condizioni numeriche. 



La prospettiva del duello finale Renzi-Grillo è di domani, con Berlusconi che non esclude nemmeno elezioni a fine settembre, ma gli insulti fanno già parte del presente. Entrambi parlano pochissimo di Berlusconi, Salvini e Meloni. Le bordate se le scambiano quasi esclusivamente fra di loro.

L’elenco dei terreni di scontro è lungo, e comincia con la legge elettorale, con i grillini fortemente contrari all’ipotesi del Rosatellum, metà maggioritario e metà proporzionale. Che vogliono le preferenze bocciate dal Pd, anche se sarebbero fra i maggiori beneficiari delle liste bloccate. Il braccio di ferro si preannuncia lungo, e potrebbe portare all’ostruzionismo parlamentare, soprattutto quando il testo arriverà al Senato, dove i numeri sono molto incerti, mentre alla Camera il diktat di Renzi dovrebbe passare senza troppi ostacoli. 



A molti è apparsa poi una mossa anti 5 Stelle la forte accelerazione impressa sul tema dei vaccini obbligatori nei primi cicli scolastici, visti i tanti dubbi avanzati da Grillo e dai suoi. E che dopo il decreto legge l’ex comico abbia frenato ha scatenato le frecciate dei democratici, confermando il sapore di mossa politica.

Al contrario, i grillini non mollano sulle banche, sul caso Etruria, in particolare. I fari restano puntati sulla posizione del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Boschi, come su quella del ministro Delrio. Non ultimo polo di attenzione il ruolo di Luca Lotti, con l’evidente differenza di comportamento fra Simona Vicari che si dimette per l’accusa di aver ricevuto un Rolex in dono e il renzianissmo ministro che rimane al suo posto nonostante sia indagato. 

Nel mirino di Renzi, invece, c’è il reddito di cittadinanza che i 5 Stelle sono andati a propagandare marciando, Grillo in testa, fra Perugia ed Assisi, dichiarandosi nientemeno che “i nuovi francescani”. Il riconfermato segretario del Pd ha bollato l’idea come semplicemente irrealizzabile, perché costerebbe troppo. Violerebbe la costituzione. “Si fa solo in Alaska”, è stata la sua sentenza.

C’è poi un tallone d’Achille dei pentastellati, che Renzi ha fatto capire attaccherà ogni volta che gli farà comodo per dimostrare che il Movimento è inadatto a governare: Roma. La giunta guidata da Virginia Raggi è un bersaglio sin troppo facile, persa com’è fra funivie futuribili e cumuli di spazzatura. E’ sin troppo facile ipotizzare che non vi sarà alcuna spallata contro il Campidoglio: dal punto di vista della propaganda democratica fa fin troppo comodo averlo a portata di mano come arma dialettica, buona per ogni stagione. Il guaio è che questo prolungherà l’agonia di una città e di un’esperienza amministrativa mai decollata, nemmeno per un giorno.

Ma se Grillo rischia di sfiancarsi nella difesa della Raggi, Renzi dovrà guardarsi nei prossimi mesi dai troppi nemici che potrebbero attaccarlo su più fronti. Se ne è avuta una riprova a Milano, in occasione della marcia pro migranti, che ha visto contestati alcuni dei rappresentanti del Pd. Contestazione “da sinistra”, si sarebbe detto con le categorie del Novecento. In questa fase l’isolamento anche politico del Pd, che non dialoga né con la galassia di forze alla propria sinistra, né con i centristi di Alfano, parrebbe una scelta studiata a tavolino per riaffermare un’identità. Ma alla lunga potrebbe rivelarsi un problema. E allora davvero solo la riedizione riveduta e corretta del patto del Nazareno potrebbe tirare fuori Renzi dalle secche su cui rischia di arenarsi. La via per le elezioni è ancora lunga, e quello che potrà succedere dopo il voto oggi lo può sapere solo un indovino.