Come è il rancio soldato? Ottimo e abbondante signor generale! Dev’essere questa la nuova parola d’ordine che arriva direttamente da Bruxelles, dalla Commissione presieduta da quel genio della politica e dell’economia lussemburghese, Jean-Claude Juncker e a cui deve anche allinearsi il nostro “genietto” europeo, attuale presidente della Bce, Mario Draghi, un signore che nel 1992, all’interno del ministero del Tesoro italiano, varò quel piano di privatizzazioni all’italiana che rappresenteranno una scandalo nei secoli a venire.
Non a caso, chi gestiva l’intera questione era “il babbeo” per antonomasia, così lo aveva da tempo soprannominato uno dei rari grandi banchieri italiani della nostra storia, Enrico Cuccia. “Il babbeo” era ancora presidente dell’Iri, ma si preparava a irrompere sulla scena in politica e a creare la “possibile sinistra italiana” che rimaneva dopo il tifone di Tangentopoli: un conglomerato che si rifaceva alle lezioni “democratiche” di Palmiro Togliatti (l’avvocato del Komintern, come lo chiamava l’amico Stalin) e a tutta la sinistra cattolica dei Dossetti, dei Lazzati e di altri geniali “pontieri”, gli interpreti dell'”ircocervo” catto-comunista che avrebbe dovuto portare “pulizia, chiarezza, glasnost, onestà e soprattutto benessere ed equità diffuse”.
Dopo dieci anni di crisi, con la constatazione che l’Italia esce dai rapporti degli osservatori nazionali e internazionali come il fanalino di coda delle crescita, occorre ringraziare sia il citato Cuccia, ma anche Leonardo Sciascia, un grande scrittore che inchiodò l'”uomo del pendolino” (sempre Romano Prodi) in un celebre interrogatorio durante i lavori della Commissione Moro. Ringraziarli per averci aperto gli occhi e la testa.
Stabiliti questi precedenti, che la memoria italiana cerca sempre di rimuovere, arriviamo al presente, dove Mario Draghi, il presidente della Bce, sta esaurendo il “bazooka” del Qe, perché i tedeschi mugugnano sempre (sembrano anche atterriti per un’inflazione che non ha neppure toccato il 2 per cento), e quindi spiazza tutti dicendo a Gerusalemme, in trasferta, che la crisi è alle spalle e che la ripresa dell’Unione europea è sempre più ampia.
Grande ottimismo, forse per chi considera il famoso “piano B” dell’Unione europea, quello centrato su un nuovo asse franco-tedesco e sui Paesi Bassi, con sempre il Lussemburgo del celebre Juncker, il noto playmaker fiscale.
Insomma il vecchio e sempiterno “nucleo duro” di un’Europa che non farà mai i conti con i grandi mutamenti della storia che sono in corso, compreso il grande fenomeno epocale delle migrazioni e la futura importanza strategica del Mediterraneo. Finirà primo o poi anche questo ottimismo da sonnambuli.
Ma naturalmente l’ottimismo degli altri, quello degli italiani in particolare, si ferma subito o non parte neppure, non solo per quello che sta avvenendo in Grecia, ma anche per la fotografia dell’Italia, dove regnano sovrani tre fattori drammatici: una delegittimazione politica progressiva, al limite del sopportabile; una crescita talmente bassa da essere irrilevante nell’uscita dalla crisi; una disoccupazione complessiva, e soprattutto giovanile, che comporta una bomba sociale che se dovesse esplodere travolgerebbe l’intero Paese.
Detto senza mezzi termini, l’uscita di Draghi, fatta mercoledì in Israele, sembra la voglia di esorcizzare un rischio che la famosa eurozona deve ancora affrontare. Emmanuel Macron ha tranquillizzato Bruxelles e Berlino. Occorrerebbe aspettare il 10 giugno, le elezioni per l’Assemblea nazionale, ma c’è fiducia. Il voto olandese non ha scalfito nulla, il voto tedesco in Westfalia è stato un trionfo per Angela Merkel e l’ennesima topica dell’inconsistente Martin Schulz, il quale parlava di eurobond fino a qualche mese fa ma ora se li è già dimenticati.
Poi c’è, da parte bruxellese e lussemburghese, un atteggiamento aggressivo verso la Gran Bretagna della Brexit ed esistono difficoltà reali verso Donald Trump. Le disgrazie altrui sono un elisir per gli europei. Quindi tutto sta andando a posto.
Forse è un po’ troppo presto per tuffarsi nell’ottimismo. Alla fine di aprile di quest’anno, la Bce aveva acquistato in bond il 10 per cento del debito italiano. E da un rapporto di Astellon Capital si leggeva che dal 2008, ben l’88 per cento del debito italiano è stato comprato dalla Bce e dalle banche italiane.
Una questione spinosa e pericolosa, se si pensa che l’Italia, al più presto, per ragioni di Francoforte e scelte, probabilmente imposte dai tedeschi alla Bce di Draghi, dovrà ritornare al mercato. Che cosa accadrà quando si fermerà il Qe e magari si alzeranno i tassi di interesse? Mutismo e rassegnazione, sinora, tranne l’ottimismo di facciata.
Intanto, oltre ai problemi di carattere economico, finanziario e politico, l’Italia ha una scadenza per il prossimo autunno con una manovra lacrime e sangue. Si badi bene che, tecnicamente, l’Italia per quello che rappresenta nell’euro è una marginalità ben differente dalla Grecia e può tecnicamente travolgere l’intera eurozona. O è la realtà oppure sono fantasie di alcuni esperti. Vedremo.
In giro però, negli ambienti finanziari mondiali, l’umore non è dei migliori. In una breve e secca dichiarazione, Mujtaba Rahman, direttore di Eurasia Group, ha detto: “Il più grande rischio in Europa si chiama Italia”.
L’unico politico che capisce qualche cosa in questo momento sembra sempre Papa Francesco, che al posto di essere ottimista come tutti i “babbei” di questo mondo, ha detto: “Come potremmo non essere preoccupati per il grave problema della disoccupazione dei giovani e degli adulti che non dispongono dei mezzi per promuovere se stessi? Questo è arrivato a un livello molto grave, molto grave. E’ un problema che ha assunto proporzioni veramente drammatiche sia nei Paesi sviluppati che in quelli in via di sviluppo e che chiede di essere affrontato per un senso di giustizia tra le generazioni e di responsabilità per il futuro”.
Cose da Papa. La Merkel, Macron, Draghi e soprattutto Juncker sono ottimisti e fiduciosi. E’ l’ultima comica, tragica e grottesca, di questo ultimo decennio e di questa epoca sempre più pericolosa.