Questa settimana la scena politica in Italia si prepara a essere sdoppiata come in una visione strabica, una percezione della realtà schizofrenica resa coerente solo dal sottile filo di un concordato che unisce e divide stato italiano e Santa Sede.
A Roma mercoledì 24 alle ore 8 il presidente americano Donald Trump andrà dal Papa, in quello che è di fatto la cosa più simile a un pellegrinaggio a Canossa. Trump durante le elezioni ha subìto più danni per una sola frase del Papa (“ponti invece di muri”) che da mesi di attacchi da una dozzina di avversari del suo partito e non.
Oggi invece, mentre è sotto assedio a Washington, con un rischio crescente di impeachment, va a Roma forse anche per ottenere un sostegno,e raccontare al Papa dell’incandescente crisi nord coreana e delle ambizioni cinesi.
Così Roma, entro le sue mura vaticane, diventa il vero centro del mondo.
Fuori dalle mura invece è il caos. È un paese di tutti contro tutti dove nel gioco della politica e della normale convivenza si sta perdendo ogni regola di civiltà.
Certo, per carità, non c’è nulla di nuovo. La Cina per dieci anni, durante la rivoluzione culturale, visse in uno stato di confusione e panico totale, dove le ugge del capo supremo, Mao, o di uno dei suoi piccoli o grandi scagnozzi di turno potevano chiudere o aprire vite. Era il culmine di un ventennio, in cui tensioni erano arrivate e passate a ondate progressive, come con la campagna contro i “proprietari terrieri”, quella contro “la destra” o quella del famigerato Grande Balzo in Avanti.
Ci vollero insomma circa trent’anni, la morte di Mao, la fine politica dei suoi alleati più tiepidi, come Hua Guofeng, per concludere un ciclo di follia e lanciare le riforme di Deng Xiaoping nel dicembre del 1978.
Guardando allora alla cronaca italiana da questa angolatura, l’aria di maoismo in Italia traspare da ogni parte. Allora, con le guardie rosse, il metro di paragone era la fedeltà o meno al libretto rosso di Mao. Si arrivava quindi fino alla paranoia di gente linciata perché aveva calpestato per sbaglio una pagina di giornale con la foto del Grande Timoniere. Oggi il metro è la fedeltà a un’idea ormai idolatriaca di legalità dove l’antico principio giurisprudenziale è stato rovesciato. Non c’è più prudenza nella giurisprudenza, non c’è più presunzione di innocenza, ma non c’è più nemmeno una fase di giudizio distinto dalle indagini. Il giudizio avviene tutto nel rilievo di registrazioni di conversazioni rovesciate sul pubblico con meno mediazioni possibili, attraverso un calderone di media tradizionali e social che emettono lì, all’istante, sentenze ed esecuzioni, come e peggio delle guardie rosse.
Su queste pagine il saggio Stefano Folli indicava il pericoloso distacco dai problemi reali prodotto da questa follia, giusta o sbagliata. Mentre tutti si tirano i capelli per o contro il padre di Renzi, l’economia va a rotoli e quasi sicuramente a dicembre l’Iva sarà imposta al 25 per cento con effetti drammatici per il paese.
Questo non è un’eruzione momentanea, ma viene da 25 anni di scontri pesanti e irrisolti tra due “fazioni” d’Italia, pro o contro Berlusconi. Quella generazione di faide però non ha prodotto né vinti né vincitori. Quindi con l’emergere del M5s di Beppe Grillo e la radicalizzazione della Lega di Matteo Salvini, i contorni elettorali si sono spaccati in tre o in quattro (se si vuole vedere la Lega distinta da Berlusconi) e la lotta si è estremizzata e confusa ulteriormente. Quasi come la morte di Lin Biao portò alla radicalizzazione dello scontro del partito con la momentanea onnipotenza degli estremisti della Banda dei Quattro.
Di fatto in Italia tutto pare dominato dai riflessi speculari di coloro che presumono la colpevolezza dei ricchi e potenti perché sono tali, e quindi li sottopongono alla tortura dei mille tagli delle rivelazioni, e coloro che vorrebbero coprire tutto e tutti.
È saltato ogni criterio di prudenza e, come si sapeva da 25 secoli fa, la giustizia senza prudenza è diventata violenza pura. D’altro canto anche ogni potere senza freni etici e morali (prima ancora che legali) è ugualmente violento e folle e così appare oggi, quando gli scontri fra fazioni oscurano il dramma vero del paese che affonda in ogni sua passo.
Era così anche in Cina. Il decennio della rivoluzione culturale fu il picco di una lotta più o meno aperta nel partito tra “cinesi” e sovietici, cioè tra coloro che avrebbero voluto più ispirarsi all’esperienza del comunismo dell’Urss, e Mao e altri che insistevano nel cercare vie diverse. I campi, come in Italia, poi erano confusi, con gente che cambiava idee o alleanze, e lo scontro era talmente forte che per certi versi tale dibattito è presente ancora oggi. Ma questa è un’altra storia.
La storia italiana invece è che senza chiari vinti o vincitori non se ne esce. I vincitori di solito nella storia sono quelli che vogliono una qualche forma di restaurazione o nuovo ordine, perché specie dopo anni di caos il popolo, la massa (per usare un linguaggio maoista) vuole tranquillità e benessere.
Solo che questo ordine arriva storicamente dopo una qualche forma di colpo di stato o invasione. Questa pare la prospettiva reale del paese oggi. I tempi per questa operazione d’ordine (che potrebbe non prevedere carri armati per le strade) potrebbero non essere brevissimi. L’Europa deve decidere di se stessa, dell’accordo Francia-Germania, e che rapporti avere con il Brexit e con gli Usa, e viceversa. In questo senso se Trump, sotto pressione per i suoi rapporti russi, cambiasse idea su Brexit ed altro, l’orizzonte potrebbe mutare complessivamente. Dopo di allora si faranno i conti con l’Italia.
Se l’esperienza cinese è di indicazione, ci può essere un elemento drammatico scatenante. In Cina fu la morte di Mao nel 1976. In passato in Italia furono gli assassini di Moro nel 1978 e di Falcone nel 1992 a imporre sterzate alla politica italiana. Oggi chissà.
Nel frattempo resta un segno classico della rivoluzione culturale: il figlio che accusa il padre, Renzi figlio contro Renzi padre. Qualunque siano le colpe del padre e i meriti del figlio, finzione o realtà, è uno spettacolo aberrante, peggio di ogni massacro tra uomini, bestie e gladiatori. Va contro ogni fibra del corpo ed è testimonianza tragica non delle persone ma dell’orrore dei tempi.
È esperienza che tantissimi in Cina, come anche il sottoscritto, hanno dovuto fare contro il padre, e lascia sulla pelle e nelle narici un tanfo di miseria e schifo.
Questo è, al di là di ogni cronaca e ogni colpa, l’odore per le strade di Roma fuori le sacre mura: l’avanzata della disumanità. Questo ciò che rende il dramma italiano qualitativamente diverso da quello spagnolo o greco. Lì c’erano crisi economiche e sociali, non morali ed etiche profonde come in Italia. Questo, forse, spiega anche la maggiore difficoltà dell’Italia a risollevarsi.
Lo sfascio italiano poi contro l’emergere del peso vaticano delinea un orizzonte preoccupante per l’Italia e per la Chiesa, e ricorda il tempo in cui con la frana dell’impero romano la Chiesa assunse un ruolo sempre più politico nella capitale che alla fine fece emergere il dominio pontificio.
Siamo certo lontanissimi da questo orizzonte, ma certo la situazione è singolare e molto pericolosa, anche per la Santa Sede. L’ultima cosa di cui essa — proiettata oggi come non mai a livello globale — ha bisogno è essere incastrata dal peso inefficiente dell’Italia.