Trovare il bandolo della matassa di questo G7 di Taormina è veramente un’impresa ardua, almeno fino a questo momento. Speriamo di essere smentiti dai lavori della giornata conclusiva e da un documento finale convincente. Ci permettiamo di dubitarne da quello che sinora è filtrato dai lavori della riunione. 

In realtà, sembra di assistere a una sorta di parata, di fotografia di gruppo del “disordine mondiale” in corso. Attenzione, bisogna ricordarsi che queste riunioni sono sempre state una sorta di “fotografia di gruppo” di quelli che contano, e che davano solamente gli indirizzi di fondo ma nessuna conclusione operativa. 

Ma con tutti i problemi che vanno affrontati in questo momento, nell’epoca della grande incertezza e della grande precarietà, sarebbe forse meglio essere meno “rituali” e trovare invece accordi più netti e più incisivi, magari anche operativi a breve scadenza, in grado di  riavvicinare le persone alla politica e ai destini della democrazia, che viene — in qualche modo — sottolineata nella sua importanza, ma anche continuamente messa in discussione in nome di una necessità di “decisionismo” (che al momento giusto c’è sempre stato) e di una sedicente democrazia diretta che, nella maggior parte dei casi, ha sempre portato a sfortunate conclusioni.

Oggi il mondo, l’Occidente soprattutto, si trova di fronte a tre problemi che sembrano ai cittadini di molti Stati quasi irrisolvibili e che di fatto generano profonda sfiducia, quella che viene sbrigativamente chiamata come “rivolta populista”, che sinora sembra contenuta, ma non smorzata.

I grandi personaggi arrivati a Taormina portano sulle spalle il peso di questi tre enormi problemi che sinora nessuno sembra sia riuscito a risolvere. Il primo è senz’altro, dopo la recente tragedia di Manchester, quello del terrorismo di natura fondamentalista islamista. Il mondo del dopo “11 settembre” si è trasformato e il famoso “secolo breve”, consacrato dal marxista inglese Eric Hobsbawm, si è improvvisamente allungato, smentito quasi come la “fine della storia” di Francis Fukuyama. 

L’escalation degli attentati in Europa e in tutto il mondo hanno già segnato una sorta di stato di guerra a tratti, che è stata definita “terza guerra mondiale” innanzitutto da due Papi, Benedetto XVI e Papa Francesco. Proprio su questo punto, sulla risposta da dare al terrorismo, sembra che a Taormina si sia trovato l’unico accordo, ci sia un impegno collettivo, un documento comune, una volontà comune, senza tentennamenti di sorta.

Ma bisognerà aspettare di leggere per capire bene che tipo di operazioni si metteranno in atto e quale impegno si potrà ottenere anche da alcuni alleati degli Stati arabi del Golfo e soprattutto da una potenza assente a Taormina, ma indispensabile in questa lotta: la Russia di Vladimir Putin. 

Come si potrà superare questo “scoglio” di incomprensioni è un rebus che resta sospeso sia negli Usa di Donald Trump (che lo vede persino in difficoltà), sia in Europa, dove esiste tuttora il problema ucraino, che anche ieri è stato agitato da Donald Tusk, il presidente del Consiglio europeo, con una animosità che non porta certo a una convivenza “operativa” con Putin.

Dopo il terrorismo, oggetto di discussione principale e fatto ormai endemico e tragico, non si può dimenticare il secondo problema, che è quello di una crisi economico-finanziaria che, con tutta la buona volontà e soprattutto quello che non si dice, ha toccato il decimo anno consecutivo di stagnazione o al massimo, per alcuni, di leggera ripresa. Certo, il mondo si è più livellato, certo la globalizzazione ha portato alcuni benefici ai paesi poveri. Ma non si capisce perché l’Occidente, nonostante le rassicurazioni, continui a zoppicare, perché si continuino a misurare le ormai mostruose diseguaglianze sociali, l’impoverimento costante del ceto operaio e del ceto medio. Oramai con questa crisi si convive, anche se qualcuno dice che “è alle spalle” e si pensi a un rialzo dei tassi di interesse del costo del denaro.

Il fatto vero è che società basate su grandi diseguaglianze sociali, sul ruolo preminente della finanza e delle banche che sono gestori del tutto, sulla precarietà del lavoro e sull’impoverimento progressivo del welfare, possono essere governate solo con maggioranze limitate, non con la coesione necessaria. Dietro a questa fotografia sociale, c’è una sacca ampia di cosiddetto “populismo” che rischia di diventare endemico e ancora più radicale, nella speranza che sia sempre minoranza.

Questo problema implica la gestione della globalizzazione, i trattati commerciali, le politiche fiscali differenti da paese a paese, spesso con un dumping intollerabile e con scelte di politica protezionistica. Da parte americana, poi c’è in questo coacervo di problemi interconnessi anche una politica contraria ad alcune scelte ecologiche che altri paesi avevano sottoscritto. E neanche a dirlo, in questa riunione del G7, su questo secondo problema si sente la mancanza della Cina, potenza che sta diventando aggressiva e che induce tanti economisti a studiare addirittura una revisione dell’attuale sistema capitalista.

Purtroppo questo grande e complessivo problema economico, a cui in un certo ci si è abituati e non ha l’urgenza dell’ultima strage terroristica, a Taormina è stato oggetto sinora di discussioni sfumate, di pagine bianche o di annunci generici. Insomma, l’impressione è che non cambierà nulla rispetto al disordine attuale e tutti si studiano a vicenda per vedere quali sono le mosse immediate più favorevoli per il proprio “campo” non per un interesse generale.

C’è poi un terzo problema, epocale, non più emergenziale: quello delle grandi migrazioni, che hanno un impatto micidiale su alcuni paesi come l’Italia, che richiederebbero politiche di solidarietà europee ben precise e occorre la necessità di piani di medio termine, nazionali e internazionali, con grandi investimenti nelle zone povere della giovane Africa e del Medio Oriente, che si stanno spopolando, per ragioni diverse, e vengono abbandonate per altre zone del pianeta, verso l’Europa soprattutto in questo momento. 

Anche su questo punto non sembra che ci sia alcun accordo, anzi ci si continua a dividere, a litigare, a contrapporsi: c’è chi erige muri, chi non prende in considerazione alcun piano di carattere nazionale, chi chiude in modo miope e chi apre oltre ogni limite. Taormina, su questo punto, sembra lo specchio della confusione e del disordine.

Occorrerà ricordare che questi tre problemi sono collegati tra loro. E’ importante anche risolverne uno, ma per ottenere una convivenza più tranquilla e razionale, un periodo di “pace possibile”, non si può dimenticare un aspetto che poi crea risentimenti sugli altri problemi. Un tempo i grandi statisti congelavano quello su cui non si andava d’accordo e concludevano quello che era possibile concludere.

In realtà sinora l’impressione è che da Taormina, più che dalla voglia di creare un nuovo ordine mondiale che dia un po’ di sicurezza,  prevalga solo una stupida volontà di differenziarsi e di salvaguardare i propri interessi immediati. La paura vera è che il G7 di Taormina diventi un normale week-end al mare per personaggi importanti, non un vertice mondiale.