I governi italiani e la società civile del nostro paese hanno profuso in questi anni molto delle loro energie per salvare vite umane, accogliere i rifugiati e combattere il traffico di essere umani. 

È fallito invece — e clamorosamente — il progetto di ricollocazione dei richiedenti asilo elaborato in sede europea. Fallimento che sta fortemente incidendo sulla percezione da parte dell’opinione pubblica italiana della vicinanza delle istituzioni europee e della solidarietà degli Stati membri. 



In questi ultimi mesi lo scenario è ulteriormente cambiato a causa dell’accresciuta instabilità della regione libica e del ruolo ambiguo recitato nel compito di accoglienza da alcune Ong che stanno rendendo problematico adempiere agli accordi internazionali.

La Phoenix e la Topaz sono due navi citate dal procuratore di Catania nell’audizione nel Parlamento italiano sul fenomeno delle Ong che mandano i loro mezzi in prossimità della Libia, ma accertamenti sono in corso anche da parte della Procura di Trapani e di altre città; alla ricerca di eventuali connessioni tra gli equipaggi e i trafficanti di uomini che lavorano in Libia. La Ong che le controlla, Moas, americana, fondata da un facoltoso imprenditore del settore delle assicurazioni in attività militari dispone anche di droni, aerei ed addirittura di sistemi di intercettazioni telefoniche. 



E non è necessario per questa e altre Ong sconfinare in acque territoriali libiche, cosa che talvolta avviene. Gli interventi di salvataggio condotti dalle organizzazioni non governative sono effettuati nella cosiddetta fascia contigua (12-22 miglia di distanza dalla costa), dove vengono recuperati senza eccessivi rischi i gommoni caricati di uomini, donne e bambini dai criminali e spinti al largo in attesa dell'”appuntamento” con i loro salvatori.

Ci sono complicità tra chi imbarca gli emigranti sulle coste libiche e chi li raccoglie per portarli in Italia? Gli investigatori italiani pensano di sì. Con alcune novità: nell’ultimo inverno gli arrivi non hanno subito rallentamenti a causa delle condizioni del mare, come avveniva in passato; sempre di meno le testimonianze dei migranti risultano utili ad identificare gli scafisti — è aumentata cioè la “reticenza” dei passeggeri; esistono perfino dubbi su taluni”depistaggi” anagrafici. 



Ma non è questo il vero problema, come chiarito ieri al Senato dal procuratore Zuccaro. La verità è che mancano al momento gli strumenti giuridici per poter colpire il traffico di esseri umani in acque internazionali ed è responsabilità del governo Gentiloni-Renzi provvedere. Ed è responsabilità dello stesso governo disporre che le Ong ottemperino alla indicazione di condurre i migranti al porto sicuro più vicino e quindi anche a Malta o in Tunisia. Ieri invece Gentiloni ha trovato tempo per ricevere il miliardario americano Soros, uno dei più determinati a fare dell’Italia l’approdo per migranti per definizione. Molte delle Ong sospette sono finanziate dalle sue fondazioni.

Questo nuovo scenario impone maggiore chiarezza alle istituzioni italiane ed europee per ciò che riguarda i compiti di missioni specifiche come EunavFor Med e per il supporto da fornire alla nostra magistratura; soprattutto, richiede al Consiglio europeo di non trascinare oltre ogni decenza l’individuazione di soluzioni condivise. Tra le tante vittime della tragedia del Mediterraneo potrebbe esserci la stessa Europa. E nulla di più facile, nel momento in cui implodesse l’Europa, che tra i primi a brindare ci fosse proprio quel George Soros così benvoluto da molti politici progressisti a cui fa gioco una Europa debole, preda a disposizione per le sue speculazioni e per i suoi esercizi di “democracy building”.