Si è detto giustamente che l’elemento più eclatante del voto di oggi in Francia è che i due candidati al ballottaggio hanno tagliato fuori i partiti tradizionali. Emmanuel Macron e Marine Le Pen hanno annientato socialisti e gollisti, storici protagonisti della politica d’oltralpe. La tornata elettorale è più “anti casta” di quanto sembri a prima vista: facce nuove, storie personali non proprio lineari, sponsor più o meno occulti alle spalle. Molti cliché sono stati oscurati.



È su questo terreno, quello dell’alternativa migliore alla vecchia politica, che si gioca la sfida a due odierna. Il vero ambito di confronto non è il “sì” o “no” all’Europa o alla Merkel. La stessa rinuncia di François Hollande era una spia di questo profondo malessere: gli elettori francesi non hanno colpito appena il partito socialista, ma tutta la vecchia politica. E sono riusciti a farlo senza sconfinare nell’antipolitica, nella protesta, ma convogliando i suffragi verso due volti nuovi. O relativamente tali, perché Macron è stato ministro di Hollande e la Le Pen eredita e consolida un sentimento nazionalistico già incarnato dal padre Jean-Marie.



Questa operazione è stata possibile grazie a due fattori: la capacità della politica francese di proporre elementi di novità (che essa sia reale o presunta, è un altro discorso) e un assetto istituzionale fatto di presidenzialismo con doppio turno elettorale che garantisce al tempo stesso stabilità e una certa consapevolezza delle scelte.

Anche in Italia si può ben dire che le prossime elezioni segneranno una svolta. Il Pd a guida del riconfermato Matteo Renzi, privo di larga parte degli eredi del Pci, di fatto chiude anche la stagione del post-comunismo, così come il Pds di Achille Occhetto aveva mandato in archivio il cinquantennio aperto da Palmiro Togliatti. Il “nuovo” Pd (per i maligni un vero Pdr, cioè Partito di Renzi) toglie di mezzo gli ultimi residui ideologici per ancorarsi al suo leader. Così pure il concorrente più accreditato del Pd, il movimento di Beppe Grillo, cerca di catalizzare le spinte anti-sistema e ora tenta, con affanno, di accreditarsi come credibile forza di governo.



La differenza più profonda tra Italia e Francia è rappresentata dal sistema elettorale. Se a Parigi quattro leader attorno al 20 per cento vengono prima ridotti a due, dai quali poi risulta un chiaro vincitore, da noi tre gruppi fra il 20 e il 30 per cento non fanno una maggioranza chiara. Chiunque arriverà primo avrà bisogno di una stampella. In alternativa, come si dice da tempo, ogni partito maggiore cerca di consolidare la base formando una coalizione. Lo si sente più spesso a destra che a sinistra. Renzi a sinistra non vuole nessuno a fargli scudo mentre il centrodestra vagheggia ancora il ritorno ai bei tempi di Berlusconi, Casini, Bossi e Fini. 

Oggi Silvio si ritroverebbe Salvini e la Meloni. Il terzetto, dicono i sondaggi, potrebbe giocarsela alla pari o quasi con Renzi e Grillo. Se poi riusciranno a restare uniti, nessuno se lo domanda mentre è la vera questione: come fa Berlusconi a rassicurare la Merkel e i partner europei mentre si allea con i rottamatori dell’euro? C’è da chiedersi se davvero il Cavaliere adesso voglia il premio per la coalizione, o se invece preferisca la soluzione prospettata da Renzi, cioè un sistema elettorale alla tedesca, proporzionale con forte soglia di sbarramento, che taglierebbe fuori i partitucoli, odiati da entrambi, e porterebbe dritti alla “grande coalizione”, al Patto del Nazareno bis. Renzi-Macron e Grillo-Le Pen sarebbero liberi di scannarsi perché il primo avrebbe già in tasca la via d’uscita. C’est plus facile.