Un dato relativo all’elezione di Macron induce a qualche riflessione.
Il neoeletto presidente della République ha ottenuto il 66,1 per cento dei suffragi, contro il 33,9 per cento conseguito da Marine Le Pen.
Ma se ai voti espressamente contrari a Macron (10.644.118 voti per Le Pen) aggiungiamo gli astenuti al ballottaggio, 12.101.416 (la percentuale più alta dal 1988, secondo quanto riportato ieri da Repubblica), i voti bianchi (3.019.735) e nulli (1.049.522), pari rispettivamente al 25,4 per cento, all’8,5 per cento e al 2,96 per cento, si giunge alla ragguardevole cifra di 26.814.791 elettori, contro i 20.753.797 che hanno scelto il neopresidente.
È lecito allora interrogarsi circa l’identità del rappresentato: se questo sia davvero il popolo francese, dato che la maggioranza del corpo elettorale — che già, come è ben noto, è una frazione della più ampia collettività popolare — non si riconosce nel candidato di En marche!
È difficile infatti negare la forzatura alla quale conduce la volontà di conciliare le imprescindibili esigenze democratiche di rappresentanza di una pluralità, con scelte ridotte ad un’alternativa secca.
Ma, si dirà, questo è il prezzo del sistema semipresidenziale.
La “favola” narrata dovrebbe però essere utile per i corifei nostrani dei premi e premiucci di maggioranza: paradossalmente, è infatti ancor più grave la distorsione che consegue a previsioni di legge che, per giungere alla designazione dell'”uomo solo al comando”, appostino, dietro le mentite spoglie di un sistema proporzionale, meccanismi in grado di determinare la sovra-rappresentazione di una minoranza.
Il fatto è che concentrare o esaurire il contenuto del voto politico in una mera designazione, mentre si adatta magnificamente alle esigenze dello spettacolo mediatico (che ieri in Francia si è arricchito di inusitato corredo ludico e che, d’altronde, ha bisogno di avere in tempi rapidi un vincitore da celebrare), rischia di riportare — proprio ed anche in considerazione degli effetti pervasivi dei mezzi di comunicazione di massa — ai riti dell’orda che acclama, con gravi conseguenze di semplificazione (se non anche di banalizzazione) del corpo elettorale e, quindi, ancor più del popolo.
Il principio di sovranità popolare, al contrario, implica procedure di formazione della volontà governante che siano legate al diritto di ciascun cittadino di concorrere alla sua determinazione in condizioni di parità.