Tanto si parla di legge elettorale che l’attenzione dei più sorvola su una misura strana decisa dal governo Gentiloni, un provvedimento-retromarcia. Quello che ripristina, con le dovute quanto modeste modifiche, il sistema dei voucher per regolamentare il lavoro stagionale o occasionale. Gli stessi vituperati voucher tolti di mezzo qualche mese fa dal medesimo esecutivo Gentiloni per evitare che il Paese si attorcigliasse attorno alla campagna elettorale per il referendum abrogativo voluto dai sindacati. Per togliere la ribalta mediatica alla Triplice, Paolo il Grigio ha preferito abrogarli lui stesso. Salvo riproporli nella manovrina di tarda primavera.
Il sistema dei buoni lavoro non l’ha inventato Renzi, probabilmente non ci sarebbe arrivato. Sono un parto della legge Biagi approvata nel 2003 (governo Berlusconi) e sono entrati in vigore nel 2008 (ultimo governo Berlusconi) mentre nel 2012 la ministra Fornero (governo Monti) li ha estesi a tutti i settori. Ma è stato il governo Renzi nel 2016 a dare loro la veste più compiuta, garantendo trasparenza e tracciabilità. Eravamo nell’ambito del Jobs Act. Ora di nuovo Renzi ha spinto perché il meccanismo regolatore dei lavori occasionali venisse riproposto. Il mite Gentiloni ha preso atto e applicato la direttiva.
Fatalità — o forse bisogna dare credito a chi dice che le coincidenze non esistono? — i voucher riaffiorano mentre si discutono i destini delle future legislature con la nuova legge elettorale. Renzi da un lato tesse la tela con Berlusconi e Grillo per tagliare fuori dal prossimo Parlamento chi ha meno del 5 per cento: e il suo vero obiettivo non è il povero Alfano che tanto si scalmana, ma gli ex democratici scissionisti di Bersani, Speranza, D’Alema. Sono usciti dal Pd, non dalla maggioranza; però i voucher no, quelli proprio non possono vederli. Se alla Camera i loro voti non servono, al Senato sarà battaglia.
Prudenza vorrebbe che il governo in questa fase fosse tenuto al riparo. Invece Renzi ha avviato un braccio di ferro. I nuovi buoni lavoro vanno approvati nel blocco della manovrina, magari con il voto di fiducia. E qui l’ex premier attende al varco i demo-progressisti. Perché è vero che a Palazzo Madama l’esecutivo rischia di andare sotto, ma basterebbe che qualcuno di Forza Italia uscisse dall’aula per abbassare il quorum e spianare la strada al provvedimento. Gli azzurri hanno già detto di essere favorevoli ai nuovi voucher ma non per questo possono votare la fiducia. Basterà comunque organizzare qualche assenza strategica per favorire il testo di legge. E avviare così le prove generali della futura grande coalizione.
In Transatlantico si dice che i contrari ai voucher (gli stessi che male digeriscono un sistema elettorale proporzionale con alto sbarramento) vedrebbero bene il blocco dei buoni lavoro anche perché ciò rallenterebbe l’iter della nuova legge elettorale alla tedesca e allontanerebbe le elezioni anticipate. Ma la mossa dei voucher è anche un’esca lanciata da Renzi, una polpetta avvelenata per mettere in difficoltà il governo Gentiloni se non per farlo cadere. E forzare verso elezioni anticipate anche senza una nuova legge elettorale. Sarebbe problematico anche per uno come Mattarella far risorgere Gentiloni dalle proprie ceneri. Insomma, prepariamoci a un finale di legislatura in stile Platoon, un Vietnam di guerriglia, di imboscate, di sgambetti e di trappole nascoste, perché Renzi vuole forzare la mano per evitare in ogni modo di aprire le urne nella primavera del prossimo anno.