Matteo Renzi ha fissato i suoi paletti sulla legge elettorale: “dico sì a un sistema tedesco con soglia al 5 per cento e nome sulla scheda” ha detto l’ex presidente del Consiglio. Detto, fatto: ieri Emanuele Fiano (Pd) ha depositato il maxiemendamento (al Rosatellum) che recepisce l’intesa FI-Pd-M5s e ora si attende l’esame dell’aula.
Nel frattempo a tenere alta la temperatura del confronto politico è la data del voto: scioglimento anticipato delle camere per votare in autunno, come vorrebbero Renzi, Grillo e Salvini, o voto nel 2018, dopo l’approvazione della legge di bilancio? Non è un segreto che Sergio Mattarella propende per la seconda ipotesi, più tranquillizzante per il paese alla vigilia di una manovra che si annuncia da 30 miliardi. Il punto del costituzionalista Stelio Mangiameli.
Professore, perché FI, Pd e M5s in pochissimo tempo hanno ripiegato sulla proposta proporzionalista di Berlusconi?
Il sistema proporzionale è più rassicurante delle competizioni maggioritarie. Non c’è il pericolo di essere dichiarati perdenti per pochi voti, anche se il consenso conquistato è notevole. Con il proporzionale ognuno porta a casa il suo e i giochi del governo possono iniziare dopo le elezioni, non per forza bisogna dichiarare le coalizioni prima del voto. Anche se questo sarebbe un segno di maggiore maturità politica.
In questi giorni è invalso l’uso di chiamare “tedesco” il semplice proporzionale con soglia al 5 per cento. E’ corretto definirlo così?
Se ci si limita al proporzionale con la soglia di sbarramento al 5 per cento non siamo di fronte ad un sistema elettorale che ricalca la legge elettorale tedesca. Si tratterebbe invece di una legge elettorale molto simile alla legge italiana per l’elezione dei deputati europei. Il calcolo e l’assegnazione dei seggi è proporzionale con l’esclusione delle liste sotto soglia. Il sistema elettorale alla tedesca è un po’ più ricco e complesso.
Può spiegare cos’è e come funziona?
Il sistema elettorale tedesco è definito “un sistema elettorale proporzionale collegato con la scelta delle persone”, che prevede un calcolo proporzionale dell’attribuzione dei seggi di ciascuna lista regionale che ha superato nazionalmente la soglia del 5 per cento dei voti validi, da cui sono scorporati i seggi ottenuti in una quota maggioritaria pari alla metà dei seggi complessivi, assegnati tramite collegi uninominali, e salvi gli eventuali seggi aggiuntivi (che in Italia non potrebbero esserci per ragioni costituzionali).
Quindi?
Di conseguenza in un sistema senza quota maggioritaria del 50 per cento dei seggi (esattamente 303), assegnati con il voto a un turno (secondo il principio first past the post), senza lo scorporo dei seggi uninominali, ottenuti nella parte maggioritaria dal complesso dei seggi calcolati sul voto proporzionale, non c’è similitudine con il sistema elettorale tedesco. Non basta la soglia di sbarramento del 5 per cento, come dice Renzi, o quella dell’8 per cento come auspicherebbe Berlusconi.
Soprattutto nel sistema tedesco è necessario riservare due voti all’elettore: perché?
Perché il primo è per il collegio uninominale e il secondo per la lista proporzionale. I due voti devono potere essere disgiunti perché è in questo modo, e solo in questo modo, in mancanza del voto di preferenza, che l’elettore può partecipare alla politica elettorale e dare a ciascuno dei suoi due voti un effetto particolare.
Immaginiamo che si adotti un proporzionale con la soglia al 5 per cento. Come assegniamo i seggi? Solo con le circoscrizioni proporzionali? O mettiamo anche i collegi uninominali alla tedesca? Cosa cambia tra un’ipotesi e l’altra?
I collegi uninominali possono dare vita ad una discreta disproporzionalità, che potrebbe giovare alla governabilità in quanto accresce il ruolo dei partiti maggiori (ad esempio Pd e M5s). Tuttavia, questa disproporzionalità sarebbe temperata dalla circostanza che con lo scorporo il sistema di voto nel suo complesso non punirebbe eccessivamente le liste minori sopra la soglia del 5 per cento. Di qui l’importanza dei due voti disgiunti, in quanto nel voto proporzionale l’elettore vota secondo la logica identitaria del proporzionale (“voto per il mio partito”), mentre nel voto maggioritario l’elettore sceglie il candidato più rappresentativo per lui del suo territorio, a prescindere che appartenga, o meno, al suo partito. Inoltre la competizione maggioritaria sarebbe per i partiti maggiori, mentre quella proporzionale sarebbe per tutti i partiti.
Grillo vorrebbe un proporzionale con sbarramento e un non meglio precisato premio per aiutare la governabilità. E’ un’istanza giustificata?
Con il sistema tedesco non ci sarebbe spazio per un premio o minipremio di governabilità perché in tal caso si darebbe, come effetto concreto, quella disproporzionalità eccessiva che è stata censurata dalla Corte costituzionale nella sentenza sull’Italicum.
Se invece si rinuncia alla disproprozionalità del voto maggioritario e ci si ferma al sistema proporzione puro con la clausola di sbarramento al 5 per cento?
Allora una quota di seggi da attribuire come premio di governabilità potrebbe essere prevista, ma entro limiti stretti sia se il premio viene assegnato al primo sia se viene assegnato al secondo turno. Infatti, il premio potrebbe essere al massimo del 15 per cento dei seggi (circa 90/95) e potrebbe essere dato solo a forze politiche che ottengano al primo turno almeno il 40 per cento dei seggi (circa 240). Nelle altre ipotesi ricadremmo nella disproporzionalità censurata dalla Consulta.
Lei quale soluzione preferirebbe?
Partirei dalla motivazione della dottrina costituzionalista tedesca sul loro sistema elettorale: nessun sistema elettorale è perfetto ed è per questo che il calcolo proporzionale dei seggi assicura la rappresentatività, mentre gli elementi di maggioritario garantirebbero una migliore governabilità, anche se attraverso coalizioni; ed è per questo che — secondo i costituzionalisti tedeschi — è necessario intercalare proporzionale e maggioritario. È poi vero che i sistemi maggioritari con i collegi uninominali — a un turno, come quello inglese, o a doppio turno, del quale avremo presto un saggio con le prossime elezioni francesi — stabilizzano di più il governo di un solo partito ed evitano tendenzialmente governi di coalizione. Tuttavia, il problema del terzo partito è una costante anche nei sistemi maggioritari, come mostra l’esperienza inglese, anche recente, e quella francese.
Basta dire “proporzionale” per garantire rappresentatività?
Il tema della rappresentatività è molto complesso ed esistono diversi modi di intenderlo nella letteratura costituzionale democratica europea. Bisogna, però, sapere che la rappresentatività del proporzionale e quella del maggioritario sono intimamente diverse: la prima, quella proporzionale, ritiene che la rappresentatività si possa fare a “fette”; la seconda, quella maggioritaria, invece, ritiene che solo chi governa, concretamente, rappresenta, mentre l’opposizione serve solo a controllare politicamente chi governa ma non a rappresentare in senso proprio.
E quanto agli eletti?
Nel caso di liste senza voto di preferenza e nel caso dei collegi uninominali si presuppone un criterio di selezione rimesso ai partiti politici e non agli elettori; però gli elettori possono compiere una scelta di persone nel voto maggioritario, mentre nell’altro subiscono interamente il gioco politico interno al partito.
Sui giornali si fanno le torte con le simulazioni di voto e di coalizione e molti rilevano che la cosiddetta “governabilità” sarebbe a rischio. Il sistema tedesco, favorendo alleanze post-elettorali, non darebbe luogo alle critiche e agli inconvenienti che si è voluto eliminare con le leggi elettorali dal 1993 in poi?
La dichiarazione delle alleanze agli elettori prima dell’elezione è una costante del sistema tedesco e non ha particolari formalità. Quando i partiti in Germania giocano a rimpiattino, non dichiarando alcuna coalizione, in genere sono puniti dagli elettori; e una coalizione post-elettorale in Germania è quasi sempre una necessità, come avviene con la “grande coalizione”, che limita l’alternanza.
Questo in Germania. In Italia però…
Nella tradizione italiana, dove le coalizioni si facevano in Parlamento ed erano variabili, sia pure entro margini ristretti, la mancanza di alternanza è stato un problema reale. Bisogna chiarire però che la nostra Costituzione non vuole un Paese senza governabilità, così come non vuole un Parlamento senza alternanza tra maggioranza e opposizione e non ha presupposto né un totale proporzionale né un totale maggioritario. Ha presupposto però un alto grado del senso di responsabilità della classe politica, che purtroppo nessun sistema elettorale può assicurare.
L’accordo Berlusconi-Renzi-Grillo avvicina il voto. Secondo molti le urne anticipate sarebbero un problema. Cosa rischiamo?
Come ha detto Gentiloni, “il governo è nella pienezza dei suoi poteri costituzionali”. Il che vuol dire che si può arrivare sino alla scadenza naturale della legislatura a febbraio 2018. Tuttavia non possiamo ignorare che la prossima legge di bilancio potrebbe richiedere una manovra economica particolare e destinata a condizionare anche gli anni futuri, e ciò per ragioni diverse, soprattutto dovute a quanto sta accadendo in Europa dopo l’effetto Trump.
In questo caso?
Un voto a settembre con un governo espresso da un Parlamento appena rinnovato, che affronti la scrittura della legge di bilancio e si confronti con le istituzioni europee, potrebbe essere persino auspicabile, anche se gli scenari appaiono fortemente incerti. Infatti, l’accordo che sembra raggiunto sul “sistema tedesco” non ci dice nulla, almeno in modo chiaro e trasparente, sulle possibili coalizioni che potrebbero governare il Paese.
(Federico Ferraù)