A cercare di raccapezzarsi nella mappa delle amministrative italiane c’è da farsi venire il mal di testa. Mille comuni al voto, mille storie differenti. Eppure questo turno elettorale che interessa oltre nove milioni di elettori rischia di pesare sugli equilibri politici nazionali più di quanto non si possa immaginare.
Se si dovesse scommettere un euro su chi rischia di più, l’aria che si fiuta in giro suggerisce di puntare sul Movimento 5 Stelle, che potrebbe rimanere fuori da tutti i ballottaggi che contano. Se così fosse, diventerebbe evidente la debolezza strutturale di una formazione incapace di esprimere un ceto politico locale decente, come il caso di Roma insegna. Un agglomerato rissoso che a forza di paranoiche espulsioni a raffica (esemplare il caso Cassimatis) si trova tagliata fuori a Genova, come a Parma, dove il suo primo sindaco importante, Federico Pizzarotti, corre da civico verso una possibile riconferma dopo la storica vittoria del 2012.
Di questo stato di cose sembra essere cosciente soprattutto Beppe Grillo, che ha ammesso la possibilità di perdere, in un evidente tentativo di mettere le mani avanti. Per lui la battaglia decisiva è spostata alle regionali siciliane fissate il 5 novembre: da lì intende prendere la rincorsa per le politiche. I sondaggi sono dalla sua parte. E il colpaccio in Sicilia avrebbe l’effetto di una catapulta verso il governo del paese. Ma se nelle urne di giugno ci fosse una clamorosa bocciatura della classe dirigente a cinque stelle, tutto diventerebbe più difficile.
Proprio in terra sicula, a Palermo, i pentastellati accarezzano il sogno di arrivare all’unico ballottaggio importante. Ma l’ostacolo è la legge locale, che consegna la vittoria a chi sia in grado di superare il 40 per cento, asticella che potrebbe essere all’altezza dell’highlander Leoluca Orlando, in corsa per il suo quinto mandato da sindaco. Una corsa tutta speciale, nella quale ha costretto persino il Pd a rinunciare al proprio simbolo. Qui il centrodestra corre diviso (Forza Italia, centristi e civici da una parte, leghisti del sud e Fratelli d’Italia dall’altra) e lo spezzone forzista ha come portabandiera un personaggio singolare come Fabrizio Ferrandelli, indagato per voto di scambio in relazione alla sua corsa a sindaco del 2012, quando però era il candidato del centrosinistra.
Se ci allontaniamo dal rompicapo siciliano, il secondo dato politico è che praticamente ovunque il centrodestra corre unito, e la sorpresa è che è pure competitivo. E’ così a Padova, dove il leghista Massimo Bitonci ha fatto pace con Forza Italia, che ne aveva provocato la caduta, e riprova a prendersi la città del Santo. E’ così anche a Genova, dove si sono concentrati molti sforzi, orchestrati dal governatore forzista Giovanni Toti, apparso più volte in manifestazioni pubbliche a braccetto con Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Qui il ballottaggio con il candidato del centrosinistra sembra scontato. Ma un’affermazione del metodo Toti, sorprendente vincitore delle regionali del 2015, costituirebbe un formidabile propellente per chi lavora per tenere unita l’aria moderata e non si rassegna al divorzio fra Berlusconi e il giovane leader del Carroccio.
Centrodestra unito e sicuro protagonista della partita anche a Catanzaro e Lecce, unito ma più debole a L’Aquila e Taranto, città quest’ultima campione di frammentazione con i suoi dieci candidati a sindaco, le 37 liste e i 1.149 candidati per solo 32 posti da consigliere comunale.
Singolare termometro per l’area moderata sarà Verona, seconda città del Veneto, di cui costituisce il cuore produttivo. Qui va valutata la corsa della compagna del sindaco per due mandati Flavio Tosi, Patrizia Bisinella, che avrà contro sia centrodestra che centrosinistra. Qualunque scenario sembra aperto nella città di Giulietta e Romeo.
In uno scenario tanto sfaccettato chi spera di poter certificare il proprio buono stato di salute è il Pd targato Matteo Renzi. Dalle parti del Nazareno si spera di fare il pieno di ballottaggi, e poi di giocarsi tante partite fra due settimane con buone chanches di vittoria.
Se queste aspettative dovessero trovare conferma nel responso delle urne, Renzi potrebbe tornare con maggior forza al tavolo dove si trattano insieme la legge elettorale e le prospettive di ciò che resta della legislatura. Una netta affermazione si rivelerebbe funzionale a far prevalere il suo volere: ottenere le urne in autunno. Solo a parole (intervista al Corriere della Sera) questa eventualità sembra archiviata. Cogliere i 5 Stelle in un momento di debolezza, e il centrodestra perso nei propri contrasti interni, costituirebbe una tentazione a cui non poter resistere. Sempre ammesso che Mattarella la pensi allo stesso modo.