Nel perenne votatoio italiano le amministrative appena concluse daranno per giorni benzina alla polemica costante dello “ho vinto io, hai perso tu” della politica nel bel paese. Ma a caldo, Antonio Fanna su queste pagine ha individuato bene i punti principali: c’è voglia di governabilità, quindi c’è poca voglia di scommettere sul M5s che in questi mesi ha dato povera prova di sé come amministratore, e ha anzi espulso l’unico suo amministratore bravo, Federico Pizzarotti a Parma.



Quindi i cittadini che devono trovare l’autobus sotto casa, avere la raccolta della spazzatura, reagire con efficienza a emergenze di profughi o attentanti non si fidano dei pentastellati, gente parolaia e di ormai provata inefficienza.

Ciò non significa che per il governo del paese, in vista delle elezioni politiche di domani, le cose non cambino, perché c’è sempre stato un distacco fra scelte locali e nazionali. Ma per adesso ci dovrebbe essere molto da riflettere e digerire per Beppe Grillo, di certo l’unico animale davvero pensante del movimento.



Per il resto non è chiaro perché la sinistra abbia fatto peggio della destra. Fanna osserva che la sterzata di moderazione di Salvini-Meloni in alleanza a Forza Italia abbia contribuito. Forse è anche merito però di un nuovo lavoro, compiuto un po’ lontano dai riflettori, del responsabile enti locali di Forza Italia, Marcello Fiori.

Questi ha battuto l’Italia comune per comune cercando gli esempi di buona amministrazione e di persone candidabili che potessero dare nuovo ossigeno al partito a livello locale. Evidentemente lo sforzo ha avuto successo. La sfida futura è come tradurre lo sforzo locale di Fiori a livello nazionale, cosa che implica una differenza qualitativa.



Il Pd è la realtà che offre risultati più lineari. Niente grandi tracolli, come il M5s, né inattesi successi, come FI. A meno di vedere rovesciamenti di risultati a ballottaggi, il risultato del Pd appare dovuto più alle sfortune altrui, quelle a 5 stelle, che a meriti propri.

Solo questo fatto dovrebbe far riflettere il partito e il suo leader Matteo Renzi. Egli ha bisogno di tempo per darsi per la prima volta una strategia. Genio della tattica e della fretta, fino ad ora è stato il campione indiscusso del tweet più veloce e mordace del momento, salvo poi perdere e perdersi nell’accumulo di battute come bolle di sapone e coriandoli per bambini, tutte cose bellissime un istante e niente, o pattume, solo un istante dopo.

Si darà una strategia? Il segretario del Pd da solo non sa da dove cominciare. Qualcun altro dovrebbe dargliela, ma questo sarebbe come accettare una camicia di forza…

Nel complesso quello che si vede dunque è grande confusione e incertezza, che arriva in un momento in Europa e nel mondo dove non c’è voglia e pazienza di affrontare gli psicodrammi italiani.

La Gran Bretagna deve far fronte a un momento difficilissimo come raramente nella sua storia. Il Partito conservatore, al potere fino ad oggi, ha perso due scommesse elettorali importantissime di fila in meno di un anno. Prima il premier Cameron per zittire il suo “backbench” e avere una mano forte delle trattative con la Ue ha chiesto il referendum sul Brexit, sperando di perderlo di misura. Risultato: il Brexit ha invece vinto (anche per una serie di superficialità nella gestione del voto) e il backbench del partito lo ha eliminato.

Solo qualche mese dopo il suo successore Theresa May ha fatto una scommessa analoga: ha chiesto il voto politico pensando di vincere a mani basse e avere così una forte mano con la Ue per il Brexit. Risultato: ha vinto appena di misura, e non si sa come faranno i conservatori a governare, e nelle trattative sul Brexit oggi gli inglesi sono più deboli che mai.

Il Financial Times sabato diceva che il Brexit, per la difficoltà della trattativa, era in queste condizioni impossibile. La verità è molto semplice: gli inglesi sono insoddisfatti dell’Europa, ma vogliono davvero pagare i costi di un divorzio e separarsi sul serio? No.

In teoria questo, se sommato al trionfo di Macron in Francia, e alla vittoria annunciata a settembre in Germania, riafferma la centralità della Germania e di Angela Merkel. Ciò, però, è vero forse solo in parte.

Un Regno Unito debole e ferito diventa di difficile gestione, sia per tenerlo che per mandarlo via dalla Ue. In realtà è chiaro che già in queste ore Francia e Germania stanno ragionando su come rafforzare l’Unione e marciare verso una confederazione politica che arrivi a un’unità fiscale e militare. Per questo Francia e Germania devono ottenere l’accordo dell’America, da sempre padrino politico e inventore dell’Unione Europea.

Cioè Merkel e Macron devono ottenere un accordo americano per muoversi verso un’unione politica, riformare profondamente la Ue e compiere gesti generosi verso la Gran Bretagna per farla uscire dalla sua palude.

In questo difficile gioco di equilibri sarebbe interesse nazionale italiano entrare, ma bisognerebbe entrarci bene, in modo da contribuire effettivamente. Se l’Italia entrasse male sarebbe un danno non solo per il paese ma anche per gli altri. Con il panorama politico attuale allora è meglio per l’Italia e per gli altri che Roma se ne stia sostanzialmente fuori.

Le elezioni a primavera prossima garantiscono questo, e dovrebbero dare il tempo ai vari partiti di capire come entrare, portando valore aggiunto, alla partita europea e mondiale.

In tutto ciò, molti parlano a vanvera e pochissimi sanno veramente cosa sta per succedere. Uno di questi è Romano Prodi, cosa che gli dà una centralità in qualunque geometria politica italiana. Ci sono però ancora molti mesi per darsi almeno un’infarinatura, dotarsi di competenze. Se i partiti non lo faranno, chiunque vinca l’anno prossimo sarà semplicemente schiacciato da ciò che a quel punto sarà l’inarrestabile rullo compressore internazionale.