Dopo a) l’autocandidatura, fortemente sollecitata a sinistra, fortemente subita da Renzi, di Prodi a collante o pontiere tra il Pd e la galassia alla sua sinistra (Mpd, Pisapia, SI, Civici), per provare ad offrire alle prossime politiche un centrosinistra unito per fermare i 5 Stelle, come pure un centrodestra ringalluzzito dalle amministrative che potrebbe risolversi ad una soluzione unitaria (Salvini, annusando i vantaggi dell’unità, si è spinto a dire che per il Paese farebbe non un passo, ma un chilometro indietro) per fare da terzo incomodo vincente, b) dopo l’inaspettato annuncio di D’Alema che se tutta la Puglia glielo chiedesse non si sottrarrebbe alla responsabilità di impegnarsi per dare voce a quella parte della sinistra che del renzismo non ne vuole più sapere; c) e dopo l’incontro chiesto urgentemente da Renzi a Prodi grazie ai buoni uffici di Arturo Parisi, la situazione è confusa, ma abbastanza chiara.
Essendo dominante, scusateci l’enumerazione, a) nell’establishment la preoccupazione di fermare i 5 Stelle (Napolitano docet), b) nel centrosinistra “classico” ex ulivista la volontà di tenere lontano Berlusconi dal ritorno al governo, da solo o in compagnia ritenuta incestuosa con il Pd, c) in Renzi e i suoi il proposito di tornare a Palazzo Chigi a costo di buttare a mare l’argenteria della tradizione ulivista se non può annettersela o rottamarla come con la sinistra interna, e di allearsi con chiunque, anche con Berlusconi a questo fine, le strategie nel centrosinistra sono abbastanza chiare.
La prima: un fronte largo che vada dal Pd a Mdp, Pisapia, SI, civici, estensibile al centro ad Alfano — fronte per il quale sarebbe auspicabile una legge elettorale che consenta le coalizioni e sbarramenti che non taglino fuori nessuno – come unica chance per essere competitivi con un centrodestra unito da uno Zaia ad esempio, che potrebbe dare soddisfazione alla Lega senza togliere a Berlusconi la guida delle operazioni, e con i grillini, che rappresenteranno ancora la vera sirena del cambiamento per un Paese fortemente incavolato.
La seconda: un Renzi che si autoimpone come leader forte su cui convogliare tutto il voto utile per fermare i 5 Stelle nella logica “il Paese scelga tra me e i barbari e, in subordine, mi dia forza (e licenza) per un Nazareno bis, cioè un accordo con Berlusconi”. Questo scenario prevede una legge elettorale che premi il partito (nel centrosinistra il Pd) e costringa tutti gli altri ad accodarsi o a rischiare di sparire.
La prima strategia prevede il sacrificio di Renzi: non potrà essere lui ad andare a Palazzo Chigi. La seconda, il sacrificio di tutti gli altri. Probabilmente i ballottaggi, dove è prevedibile un successo del centrodestra, daranno una forte spinta — logica — al primo scenario: un fronte largo con programma di governo comune e un Renzi che dovrà acconciarsi al ruolo di segretario del Pd.
Se si tratta di mettere in piedi una nuova Unione, è difficile affidarla al leader più divisivo degli ultimi anni. E gira ormai la convinzione che tra i barbari e Renzi, l’indisciplina degli italiani potrebbe far loro scegliere i barbari. Meglio non rischiare. In politica puoi essere inaffidabile ma vincente, o perdente ma affidabile. È difficile restare in gioco se riesci a essere insieme inaffidabile e perdente.