Paolo Gentiloni fa sapere che nella prossima legislatura non farà più il presidente del Consiglio perché desidera ritrovare il tempo per leggere. Romano Prodi tesse una trama nell’ombra garantendo che non vuole fare il presidente del Consiglio né il mediatore ma solamente da “collante” della sinistra. Vendola, D’Alema, Montanari, Anna Falcone e i nostalgici del teatro Brancaccio spergiurano di non cercare un leader ma di volere libertà, democrazia e partecipazione. La sinistra si muove, si riorganizza, cerca nuovi equilibri e nuove persone, anche se per ora i protagonisti sono gli ex rottamati redivivi. Tutti contro Matteo Renzi. Ma nessuno che fa il nome di Renzi.



Comportamento paradossale. Eppure la ragione c’è. Ed è che sono tutti convinti che il segretario del Pd si farà del male da solo, perché troppe nuvole si stanno addensando sul suo cielo. Renzi s’illude di essersi messo al riparo dai guai avendo occupato la Rai con le ultime promozioni e con le campagne antigrillini. E poi si illude che la gente possa credere che non ci sia un fatto personale dietro la rimozione di Luigi Marroni da amministratore delegato della Consip, la centrale acquisti della pubblica amministrazione al centro di indagini per episodi di corruzione. Marroni è il manager che aveva chiamato in causa il padre di Renzi, il Giglio magico e in particolare il ministro Luca Lotti per una fuga di notizie delle quali era stato messo al corrente.



Marroni non si sarebbe mai dimesso: lo hanno fatto gli altri due membri del consiglio di amministrazione, espressione del ministero dell’Economia. Caduti loro, decaduto anche il vero obiettivo della manovra. Renzi gongola. Ma in realtà ha fatto un regalone ai grillini e all’antipolitica, perché ha provocato le dimissioni non di una persona accusata di aver commesso un reato, ma di chi lo aveva denunciato.

Altra spina per Renzi è il fronte che si sta consolidando contro i neonati voucher, da Camusso a Bersani; un coagulo di forze che ha approfittato dello sciopero dei trasporti del fine settimana per mostrare i muscoli e avvertire che non sono spariti dalla scena. Renzi alza le spalle senza rendersi conto che tirare dritto ignorando ciò che si muove nella società (e nell’elettorato) gli ha già fatto commettere errori grossolani. Da questo punto di vista, anche la battaglia parlamentare sullo “ius soli” rischia di danneggiare il Pd.



E poi c’è il capitolo banche, riaperto da una nuova intercettazione, risalente al 2015, secondo cui il padre di Maria Elena Boschi avrebbe parlato con l’allora numero 1 di Veneto Banca, Vincenzo Consoli, a proposito della decisione del governo di trasformare le popolari in spa. Pier Luigi Boschi, vicepresidente di Banca Etruria, promette al direttore generale della popolare veneta che ne avrebbe discusso con sua figlia e, il giorno successivo, anche con “il presidente”, verosimilmente Renzi, allora premier. La Boschi ha sempre negato di essersi occupata di banche, e in particolare del salvataggio dell’istituto al cui vertice sedeva il padre, ma questa è la terza volta in cui viene chiamata in causa. È ancora Il Fatto Quotidiano a riaprire questo fronte nel silenzio del resto della stampa. E questo ennesimo guaio per Renzi non è un tranello teso dalle forze reazionarie prodian-dalemian-lettiane.