Sembra di assistere alle grandi manovre di diversi eserciti prima di una grande battaglia: tutti i fronti politici, da destra a sinistra passando per i grillini e la Lega, sono in fermento, cercando di costruire alleanze in vista del grande scontro elettorale ormai rimandato al 2018. Secondo Peppino Caldarola, intervistato da ilsussidiario.net, al momento c’è una sola variabile che non trova collocamento, ed è Matteo Renzi, il quale “si trova in una situazione di sindrome da assedio crescente, se pensiamo al caso Consip e alla problematica delle banche”. A sinistra, dice ancora Caldarola, Prodi ha preso il ruolo di regista di avvicinamento tra Pisapia e Renzi, mentre Grillo teme Salvini, che può portargli via parecchi voti.



Le grane di Renzi, tra caso Consip e banche, dove portano? Cosa succede nel mondo renziano? 

Nel mondo renziano sta aumentando la sindrome dell’assedio condotto da un nemico invisibile perché i renziani, a differenza di quanto accadeva con Berlusconi, non attaccano mai la magistratura direttamente. Però trapela dalle loro dichiarazioni un sospetto che ci sia una manina dietro tutta la faccenda, d’altro canto confermata da alcune cose che abbiamo visto, come le falsificazioni del capitano dei carabinieri. 



Cosa significa concretamente essere sotto assedio?

L’assedio in politica vuol dire molto perché significa interrogarsi sulla propria forza. In secondo luogo c’è il timore effettivo di essere costretti, come accaduto al Senato, a dover sempre dipendere dall’apporto che può venire da parte di Forza Italia tutte le volte che una parte del voto di sinistra abbandona la maggioranza.

Ci potranno essere contraccolpi sul governo?

In questo momento direi di no, a differenza di qualche settimana fa nessuno ha interesse a far precipitare la situazione.

Perché?

Innanzitutto perché l’idea di votare a settembre è stata congelata. C’è poi bisogno di coordinarsi per la legge elettorale e il parlamento non sta lavorando in questa direzione. C’è il problema di una maggioranza allo sbando, questo sì.



E questo cosa potrà comportare?

Innanzitutto che sempre più Articolo 1 vivrà con sofferenza l’appoggio a Gentiloni. Poi ci sarà il d-day della manovra finanziaria,  dove sia la sinistra interna al Pd che quella esterna vorranno dire ai propri elettori di aver strappato qualche risultato. Il governo è una barca che naviga su un mare tempestoso, per fortuna al timone c’è una persona non impaziente.

Marroni (ex Consip) ha detto che chi tocca Lotti muore. 

Sono dichiarazioni che lasciano il tempo che trovano perché dicono una verità banale, anche se preoccupante. Il fatto è che quando Renzi è arrivato al governo ha deciso una sorta di occupazione, perché aveva preso il potere ma nessuno glielo aveva dato, e quindi essendo inesperto e non avendo alcuna intenzione di gestire in condominio questo potere si è circondato solo di persone a lui vicine.

Come Luca Lotti.

Lotti è la persona più vicina che Renzi ha. E’ l’uomo che si occupa di affari delicati, per così dire, che vuole incarichi importanti che per fortuna non sempre ha avuto. In questo senso un uomo potente, il braccio forte del renzismo. 

Il Pd “sopravviverà” al giglio magico?

Il Pd oggi è un’altra cosa, è il partito di Renzi con dentro una importante minoranza che però avrà sempre meno spazio. Il problema del Pd è che non può più aspirare a una vocazione maggioritaria, lo stesso renzismo ne ha celebrato la morte e scopre con angoscia di avere bisogno di alleanze: o Berlusconi, ma avrebbe una ricaduta elettorale negativa; oppure a sinistra con Pisapia, che però si porta dietro una comitiva che Renzi non vuole e ci sono persone della comitiva che non vogliono Renzi. 

A questo proposito: Pisapia e Prodi, cosa succederà? 

In questo momento il ruolo di regista del cosiddetto nuovo Ulivo lo ha preso abbastanza vigorosamente Prodi che ha scelto simpaticamente la definizione di “colla leggera che poi attacca tutto”. Il suo obiettivo è di non perdere il contatto con Renzi perché vuole una maggioranza di governo. Lui è il vero tutor di Pisapia, però non può spendersi in qualcosa di più e non vuole neppure. Le mosse di Prodi vanno studiate con attenzione, adesso sono opinioni ma possono costruire partiti politici.

Chi-si-allea-con-chi a sinistra? Potrebbe dipendere tutto dalla legge elettorale, che ancora non c’è…

Vedo molti veti a sinistra del Pd. Il progetto più nuovo è quella di Anna Falcone e Tomaso Montanari che pesca in un’area che era quella dei girotondi e che ha animato il No al referendum. Però è un’area che ha chiuso porte a troppe persone, da Pisapia a D’Alema, con un atteggiamento di autosufficienza che non credo possa portare molto lontano.

Che dice dell’inchiesta di Roma e del caso Raggi? E’ la dimostrazione del declino del M5s?

Ho sempre pensato che quando si guarda a loro non bisogna mai avere giudizi definitivi. Rappresentano il grande no e quindi ogni volta che c’è un no da gridare, gli italiani si volgono a loro. Nella realtà invece tutte le volte che hanno governato hanno fallito, l’unica volta che andavano bene, con Pizzarotti a Parma, hanno cacciato il sindaco. Non hanno nessuna coalizione con cui schierarsi per propria scelta, per cui non andranno mai al governo, e infine ci sono segnali di crepe nel loro elettorato ma non vanno enfatizzati.

Quali?

La vicenda dello ius soli è significativa: la posizione di Grillo è quella di chi ha paura che il proprio elettorato sia portato via da Salvini. E’ una gara fra i due, altro che alleanza.

E’ davvero così?

Grillo si è inventato un movimento populista che ha deciso di non avere identità ma 4 o 5 magliette diverse da usare secondo le stagioni. Questo non è più possibile, in questo senso il movimentismo di Salvini insidia molto Grillo perché dice: o ti allei con me o io vengo a prenderti i voti. E la componente più radicale di destra dei 5 stelle potrebbe decidere che è meglio Salvini di Grillo.

I ballottaggi di domenica secondo lei cambieranno lo scenario politico?

Mi aspetto che vinca la destra. Ci sono casi particolari, capire ad esempio a Parma chi si schiererà con il sindaco uscente, ma non possono essere valutati come termometri politici.