Pur essendo un convinto riformista sotto molti aspetti, Stefano Rodotà, morto nella giornata di venerdì 23 giugno 2017 all’età di 84 anni, sarà ricordato come uno strenuo difensore della Costituzione. Il giurista ha sempre portato avanti, nei suoi interventi pubblici e sui mezzi di informazioni, le sue teorie a difesa della Carta, da lui considerata come l’unica vera forma di garanzia della democrazia in Italia. Per questo la sua ultima grande battaglia, pur fra le tante visto il suo costante sostegno ai diritti civili, è stata quella relativa al Referendum Costituzionale dello scorso 4 dicembre, in cui si è battuto per il No, argomentando con energia i pericoli che una Riforma a suo parere incompleta e parziale avrebbe portato. Dopo il risultato finale che portò alla vittoria del No, Rodotà commentò così il risultato: ““Il tentativo di impadronirsi della Costituzione è fallito. Bisogna far sì che la Costituzione resti sempre luogo di confronto continuo e comune”. (agg. di Fabio Belli)
Stanno iniziando a moltiplicarsi le reazioni per la morte di Stefano Rodotà. Il politico e giurista che ha sostenuto diverse e variegate cause civili nel corso della sua lunga carriera. Il Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni non ha avuto dubbi nel definire Rodotà “”grande giurista, intellettuale di rango, straordinario parlamentare. Una vita di battaglie per la libertà”. Anche il presidente del Senato Pietro Grasso su Facebook si è aggiunto alla lunga lista di condoglianze: “Ne ricordo l’intelligenza vivace e la straordinaria capacità di affrontare con linguaggio semplice temi profondamente complessi. Ci mancherà”. Oltre agli esponenti del mondo politico si sono espressi anche molti rappresentanti di cause che come detto Rodotà ha avuto modo di sostenere fino agli ultimi giorni della sua vita, a partire dai ragazzi del Cinema America Occupato a Roma, fino alla comunità LGBT e all’Arcigay, con Stefano Rodotà che è stato sempre un convinto sostenitore dei diritti civili. (agg. di Fabio Belli)
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Si è spento oggi, all’età di 84 anni, Stefano Rodotà. La notizia della morte del noto giurista si rincorre in questi minuti sui social, dove sono già numerosi i messaggi di condoglianze alla famiglia rimarcando il ruolo avuto in ambito politico e dei diritti nella storia del nostro Paese. Nato a Cosenza il 30 maggio 1933, da meno di un mese aveva festeggiato il suo 84esimo compleanno. La politica, così come lo studio, fecero parte della sua vita sin da giovanissimo: figlio di un insegnante di matematica poi iscritto al partito d’azione, Stefano Rodotà aveva uno zio segretario locale della Dc. Nel 1953 si laureò in Legge a Roma per poi diventare appena 40enne, docente di diritto civile alla Sapienza. Una passione ed un impegno, quello accademico, da sempre fusi a quello politico. Milita da giovane nei Radicali. A lui il titolo di essere tra i primi professori a scrivere regolarmente sui giornali, introdotto da Elena Croce, figlia di Benedetto. Tra le sue importanti collaborazioni si annovera anche quella con il quotidiano Repubblica, a partire dalla sua nascita. Nella sua vita ci furono anche molti viaggi, sempre all’insegna dell’insegnamento che lo vide docente a Oxford, in Francia, Germania e Stati Uniti.
Il suo ingresso in Parlamento è datato 1979 quando, a sorpresa, Stefano Rodotà rifiutò di schierarsi con i Radicali scegliendo di candidarsi come indipendente di sinistra nelle liste del Pci. Successivamente si dimetterà dopo essere stato eletto vicepresidente alla Camera. Dal 1997 al 2005 ricoprì il ruolo di garante della privacy. Al centro della sua vita, ruoteranno fino alla fine i diritti, individuali e sociali. Tanti gli argomenti cari a Stefano Rodotà. Dalla laicità dello Stato al rapporto tra Stato e Chiesa, passando per i valori della Costituzione, il rapporto tra democrazia e religione, la bioetica e la libertà di stampa. Nonostante avesse compiuto 80 anni, Rodotà ha sempre manifestato enorme modernità, tanto da scoprirsi star del web e parlare ai giovani. Lascia la moglie Carla, alla quale era legato da oltre mezzo secolo e due figli, Carlo e Maria Laura, anche quest’ultima firma del giornalismo così come la madre, penna di Repubblica.