E’ una vigilia elettorale nervosa, tutta politica, anche se si vota per delle amministrative parziali, e carica di incognite. Si parla e si polemizza molto a sinistra tra il Partito democratico e l’arcipelago dei vari gruppi che si richiamano direttamente a una sinistra “nuova”, ma con venature antiche.
Tuttavia l’umore, anche in casa 5 Stelle, non è certo quello di un anno fa, quando Roma e Torino finirono nelle mani del movimento di Beppe Grillo.
Forse solo nelle stanze del centrodestra si respira una boccata d’ossigeno dopo anni di disgregazione e perdita di consensi. Ma non si dovrebbero di certo fare salti di gioia con le divisioni interne, anche lì, tra Berlusconi e Salvini. In realtà, il quadro complessivo è di una tale incertezza, è caratterizzato da una tale disgregazione che difficilmente ci saranno chiarimenti sufficienti per comprendere le mosse dei partiti nei prossimi mesi, almeno sino alla scadenza della legislatura e quindi dell’appuntamento delle elezioni generali. Delineare l’Italia politica del futuro diventa sempre più problematico.
Non è improbabile che da questi ballottaggi escano sorprese che riguardano alcune città storicamente di sinistra (Genova potrebbe essere il caso più clamoroso), che potrebbero riciclarsi sul versante opposto. Ma poi, a distanza di mesi, con questa politica che cambia direzione mese dopo mese, quale tipo di tendenze reali si potrebbero vedere?
Non c’è neppure da dimenticare che si va a votare (chi ci andrà!) con i due sindaci delle città più importanti d’Italia sotto l’occhio della magistratura. Se Virginia Raggi (M5s) deve fare i conti con gli assestamenti voluti e decisi contraddittoriamente in Campidoglio, il sindaco di Milano, Giuseppe Sala (Pd), deve ritornare alle vicende dell’Expo, in una sorta di “giostra infernale”, infinita, che vede sempre la magistratura protagonista.
Se la politica, sia essa come espressione di classe dirigente nazionale, o di classe dirigente locale, tanto per cambiare, deve misurarsi ancora con le procure, dopo un quarto di secolo e in quest’epoca di disaffezione generalizzata, può andare incontro a un’altra ventata di disillusione.
Facendo un breve bilancio di questa vigilia di campagna elettorale, si possono notare quattro fattori che appaiono determinanti. Il primo è la confusione e le contraddizioni presenti nella sinistra. Troppi protagonisti che ritornano alla ribalta, troppi contrasti e molte incognite. E’ addirittura ritornato in pista Romano Prodi, all’alba degli ottant’anni, trascinandosi dietro tutte le antiche contraddizioni di quello che è stato il periodo del dopo-Tangentopoli, il modo in cui è stata affrontata la globalizzazione, la crisi e il ruolo di una sinistra che alla fine è diventata incomprensibile persino a una parte consistente del suo elettorato. E poi, come si possono dimenticare gli errori di Prodi, che solo la scarsa memoria italiana cerca di cancellare?
Il sintomo più evidente della confusione che si vive a sinistra è infine la mancata presenza del rieletto segretario del Pd, Matteo Renzi, nel cuore della battaglia elettorale. Si potrebbe dedicargli la trasmissione “Chi l’ha visto?”. Compare al mattino Renzi, sui cosiddetti new media e social, ma è scomparso dalle grandi piazze, se esistono ancora, delle città dove si va a votare.
Come interpretare questa assenza? Non esporsi a una nuova sconfitta? Non sfidare le possibili contestazioni? Rinunciare a una leadership personale aggressiva, che è stata una delle cause principali della catastrofe referendaria?
Difficile dare una risposta e complicato persino giudicare se è stato Renzi a scegliere di sparire dalle città o se glielo hanno consigliato i suoi. Tuttavia, questa “assenza ingiustificata” è il sintomo principale del malessere, dei contrasti e della confusione che c’è a sinistra e nel centrosinistra, tra i sussulti del prodismo, le incertezze di Pisapia, le metafore di Bersani.
Poi ci sono i 5 Stelle, con il morale sotto i tacchi, nonostante le dichiarazioni di “successo” lento e continuo. Di fatto, la speranza del ribaltone nel cuore della politica italiana ha subito una frenata improvvisa, perché alla capacità di contestazione del sistema si è accompagnata un’incapacità politica evidente di proposta e di amministrazione del movimento di Grillo.
Si diceva della rifiatata del centrodestra. Ma sembra piuttosto il rigurgito di una delusione di questi anni, che poi va ad appoggiarsi a un altro giovanotto di ottant’anni, il cavalier Silvio Berlusconi, rimesso in gioco da una serie di errori della sinistra e di tutti quelli che si sono succeduti al governo del Paese dal 2011 in poi. E rimesso in piedi anche dalla scarsa credibilità del movimentismo pentastellato.
Sono tre fattori, tre rilievi che si possono cogliere facilmente, anche nelle faticose cronache giornalistiche e televisive di questi giorni. Alla fine, dietro a questo quadro incerto e inquietante per molti versi, si intravede il vero pericolo: il grande spettro di un assenteismo di massa, il nuovo partito di maggioranza, una protesta profonda e radicata, che non lascia pensare a nulla di buono per i prossimi mesi e per i destini della democrazia italiana, che si basava su un grande criterio di rappresentatività e avrebbe dovuto affrontare molto tempo fa i problemi anche della funzionalità decisionale, senza stravolgere i principi storici della democrazia così come si è formata in Italia.