Il crollo del centrosinistra a ballottaggi delle amministrative italiane non era imprevisto, ma la dimensione del risultato appare comunque straordinaria e Forza Italia sembra come la vecchia araba fenice che risorge dalle sue ceneri. Forse però c’è qualcosa di più complesso che si sta muovendo. Da lontanissimo vorremmo offrire delle semplici impressioni.
Il centrodestra ha vinto per inefficacia altrui. Ciascuno per proprio conto, il M5s al comune di Roma e il Pd al governo centrale, hanno dato prova di inefficienza e hanno fallito. Non fosse altro che per mancanza di alternative, Forza Italia è riemersa.
In questi mesi, Matteo Renzi doveva darsi una squadra e un programma. Noi stessi lo abbiamo consigliato in tal senso proprio su queste pagine. Invece ha riproposto la trita cantilena di un fiorentino solo al comando. Che cosa poteva accadere?
Nel M5s, anche questo lo abbiamo detto, Beppe Grillo avrebbe dovuto decapitare i suoi dirigenti, semplici dilettanti allo sbaraglio, e scegliere persone meritevoli e professionali. La conferma di Pizzarotti (il primo sindaco grillino poi espulso dal movimento) a Parma prova che Pizzarotti aveva ragione e chi lo ha cacciato aveva torto.
Ma la scelta di Grillo di un’eventuale decapitazione dei dirigenti attuali è difficile, perché il movimento, composto di miracolati della politica, gli si rivolterebbe contro. Grillo deve affrontare una rivoluzione culturale e, come fece Mao nel 1966, eliminare i suoi dirigenti per metterne di nuovi. È un rischio quasi mortale per M5s, ma senza questo il rischio è ancora maggiore.
Inoltre, possiamo dirlo Cavaliere?, il successo di Forza Italia forse è anche dovuto all’assenza di Berlusconi. Berlusconi, ancora controverso, è rimasto ai margini della contesa elettorale fino quasi all’ultimo e questo ha riportato gli italiani più realisti intorno a lui e al suo partito. Cioè la destra ha vinto perché si sta deberlusconizzando e sta diventando destra moderata e liberale vera.
C’è quindi l’elemento, non trascurabile, della nuova organizzazione. I sindaci di FI hanno dato prova di buona amministrazione sul territorio, come a Cosenza, città difficilissima, e Marcello Fiori, responsabili degli enti locali, ha battuto la provincia riconnettendo i fili. Questo lavoro sta dando una nuova struttura e una nuova credibilità a FI.
Quello che però ancora manca è un grande progetto di sviluppo e di unità del paese dopo anni di aspre divisioni. Ciò deve andare oltre la promessa stantia di “meno tasse per tutti”, cosa a cui non crede più nessuno.
Questo problema si riflette con durezza nella percentuale dei votanti. Quando va alle urne solo il 46 per cento degli aventi diritto significa che alle politiche può accadere qualunque cosa. Nessuno è sicuro di vincere, quindi gli attuali leader dovrebbero avere meno tentazioni che mai per un voto prima del 2018, per cercare di prepararsi e cambiare direzione invece di stare all’inseguimento dell’ultima scheda, magari pensando alle regionali in Sicilia di novembre.
Renzi, invece di temere imboscate dei suoi dopo queste comunali o dopo un’eventuale débâcle in Sicilia dovrebbe darsi una strategia politica vera. Altrimenti a novembre, con o senza voto in Sicilia, in caso di tracollo è destinato ad andare in pensione a 42 anni, esattamente come Irene Pivetti, presidente della Camera a 25 anni, è scomparsa dalla scena politica a 30. Capita. Ma senza una svolta politicamente costruttiva è morto comunque. Per non morire dovrebbe forse aspettare fino a maggio. Ciò farebbe bene anche al suo Qi, si direbbe in Cina, ossia il soffio vitale, l’energia che regola il corpo di tutti.
Ciò detto, tutti i politici italiani hanno l’arduo compito di recuperare almeno una parte di quel 70 per cento di italiani che sono indifferenti, stanchi o increduli rispetto alla politica. E che domani, in un moto di rabbia, potrebbero cambiarla di botto andando alle urne. Speriamo non in un altro modo.