Dopo l’uscita di Matteo Renzi, che sostanzialmente il Pd ha preso più sindaci del centrodestra, 67 a 59, la rimozione, categoria con cui si lavora sul lettino dello psicanalista, è passata ufficialmente dalla pratica analitica alla pratica politica. Il rischio è che nell’agone politico finisca in modo diverso che sul lettino dell’analista, e che cioè il paziente venga invitato ad alzarsi dalla poltrona e ad uscire dallo studio. Staremo a vedere. Magari il vinavil delle recenti primarie terrà ancora saldo il segretario sulla poltrona del Nazareno, ma per andare dove non si capisce molto bene.



Quel che intanto si capisce è che tutto il personale politico renziano – dei renziani, e persino del suo principale oppositore interno, Orlando – è stato fatto fuori al ballottaggio. Prova ormai provata che la governance politica, che ha scalato la vecchia ditta, ha conquistato il consiglio di amministrazione e il controllo dell’azienda, ma perde sempre più i clienti tradizionali (a sinistra) senza guadagnarne al centro o a destra. È svanita anche l’illusione ottica di aver battuto i 5 Stelle al primo turno. 



Voti in calo in percentuale e in valore assoluto; perdita di un’intera filiera di città tradizionale bacino elettorale, a cominciare da Genova, per non parlare dell’icona di Sesto San Giovanni, del centrosinistra; paradossale spinta al potenziale alleato, Berlusconi, nelle braccia di un accordo vincente nel centrodestra; inalterato il potenziale di primo partito dei 5 Stelle; insomma un disastro. Per altro annunciato. 

Di Genova abbiamo già detto, ma a Lodi perde Gendarini, uomo di Guerini, a Gorizia Collini, uomo della Serrachiani, a La Spezia Manfredini, uomo di Orlando, a Rignano sull’Arno il civico Lorenzini ha vinto al primo turno battendo la Uccella (Pd) dietro la quale certamente lavorava Renzi senior. 



L’unico che può vantare un successo in Puglia è Emiliano: a Lecce e Taranto ha vinto gente sua. E infatti si affretta a dichiarare che “in Puglia, in controtendenza rispetto al quadro nazionale, il Centrosinistra vince dappertutto e clamorosamente a Lecce dove non avevamo mai vinto” e la vittoria di Taranto “è un vero trionfo: il modello Puglia deve rappresentare il futuro del centrosinistra italiano”. E ci mette anche gli auguri ai sindaci 5 Stelle di Santeramo, Canosa e Mottola. Più che una consolazione per il Pd, altro sale sulle ferite del Nazareno.

È chiaro che il Pd in queste condizioni è fuori partita per un futuro a Palazzo Chigi nella persona di Renzi, e forse di chiunque altro indicato dal Pd, anche in caso di un fronte largo anti 5 Stelle per far partire la prossima legislatura. Divide et impera funziona quando dividi gli altri, non i tuoi. Il problema ora per il centrosinistra è approntare una strategia alternativa di tipo federativo tra quello che resterà del Pd alle prossime politiche e il voto che il centrosinistra ha perso per strada e che in un modo o in altro bisognerà che qualcuno recuperi. Operazione anche questa non facile, perché bisogna unire sensibilità diverse in nome di una politica che venga incontro all’Italia più in difficoltà, e tenendo lontano il sospetto di un’operazione di ceto politico per rimettersi in gioco. A sinistra del Pd c’è bisogno del prerequisito dell’unità e della sostanza, nelle politiche e nei volti proposti, e della dedizione al Paese. È la sola condizione perché il centrosinistra rientri in partita, e non può ridursi al passo indietro di Renzi. Questo sarebbe forse bastato il 4 dicembre. Oggi è condizione forse ancora necessaria, ma certamente non sufficiente.