Non lo hanno voluto! A La Spezia come a Genova ed in tutta la Toscana rossa. E non perché, come qualcuno mormora, Matteo Renzi non è quello che si dice un portafortuna. Né tantomeno perché temessero di perdere. Il fatto è che il segretario del Pd ai ballottaggi per i candidati sindaci risultava essere troppo divisivo e dovendo sostenere la coalizione di centrosinistra affollata dai tanti che gliel’hanno giurata, i ras locali del Pd hanno preferito non invitarlo. 



Nel frattempo si è votato. Centrodestra in gran spolvero. Nella versione Toti. Coalizione larga con apporti civici e porte aperte ai lepenisti. 

Cade Genova, i nuovi camalli hanno svoltato a destra. Cade Sesto San Giovanni, la Stalingrado d’Italia, e cade Verona che fugge le suggestioni centriste. 

Berlusconi ha fatto il pieno ma lo schema di gioco è quello del centrodestra storico: guai a parlare di grande coalizione con Renzi. 



Già, Renzi: ha epurato la sinistra e si è ritrovato con poco più dei consensi della Margherita. Qualcuno glielo dovrà pur dire che rischia la fine di Martinazzoli, anche lui non voleva saperne di alleanze all’esordio del Mattarellum. È finito a fare il consigliere regionale in Lombardia. 

Cade La Spezia. Forse perché a furia di bombardare i comunisti, Renzi ne ha fatto effettivamente strage. Cade L’Aquila, altra roccaforte Pd. 

E se nessuno nel Pd chiederà le dimissioni di Renzi forse sarà perché la Lodi di Guerini affonda col vicesegretario dem, vero uomo macchina delle amministrative, e può darsi che arrivino prima le sue.



Il primo luglio si raduna il centrosinistra di Pisapia, Bersani e forse Letta e Prodi. Matteo Renzi non sarà presente. Ma anche ad Arcore non se ne sente la mancanza. Forse per fare e dire cose di destra non serve il segretario del Pd…

Renzi inizialmente ha fatto spallucce, producendo statistiche in serie per dimostrare che il “suo” partito non ha perso più di tanto. E soprattutto “le politiche sono un’altra cosa”. Ma il tempo lavora contro di lui. Il 5 novembre si vota in Sicilia, dove può vincere Grillo e soprattutto dove il Pd rischia percentuali indecorose. Bisogna fare qualcosa prima. Matteo si è chiuso in casa col fido Luca Lotti ed ha calato l’asso di briscola. Altro che leccarsi le ferite: il Pd ha perso? La maggioranza è in sofferenza? Benissimo: adesso tocca a Gentiloni dimettersi, come il D’Alema presidente del Consiglio dopo le regionali del 2000. E poi subito al voto, per ridare fiato alla saga fiorentina. I bene informati dicono che Gentiloni, al solito remissivo con l’agitato di Rignano sull’Arno, abbia annuito. Sornione.