Sarebbe un grave errore pensare che il confronto sulla legge elettorale, e soprattutto il patto sul sistema alla tedesca dei tre “extraparlamentari” Renzi, Berlusconi e Grillo non abbia a che fare con quello che accade intorno. Soprattutto a Berlino e Bruxelles. E con quello che accadrà in Italia nel prossimo autunno. Lo spiega bene al sussidiario il costituzionalista Alessandro Mangia.



Professore, diciamo la verità: è un tedesco col trucco.

Per la verità si comincia ad essere un po’ disorientati. Adesso, in quindici giorni, si è cominciato a chiamare tedesco un sistema proporzionale solo perché ha il 5 per cento di sbarramento. Prima era tedesco il Rosatellum perché prevedeva la doppia scheda e il voto nel maggioritario e nel proporzionale senza scorporo. Cosa sia davvero il sistema elettorale tedesco è stato spiegato su queste pagine qualche giorno fa. In tutta sincerità assomigliava di più al sistema tedesco quel Mattarellum con cui abbiamo votato dal ’93 al 2005 che non la cosa di cui si sta parlando adesso. 



Vediamola più da vicino. Per quanto è dato di capire, c’è un solo voto e non due; il numero dei seggi di ciascun partito viene determinato sulla base della percentuale ottenuta a livello nazionale; il dato nazionale viene ripartito per circoscrizioni; il primo a venire eletto è il capolista del listino bloccato (composto da tre nomi) e, dopo di lui, il candidato nel collegio uninominale. 

Appunto. La cosa più singolare è che in questo modo lei ha quasi descritto quel Porcellum che era stato dichiarato incostituzionale nel 2014. Per la Camera c’era un collegio unico nazionale, che è stata la grande trovata di Berlusconi e Calderoli. Dopo di che i voti venivano ripartiti nelle circoscrizioni sulla base di listini. E le circoscrizioni rilevavano soltanto ai fini della distribuzione territoriale degli eletti all’interno del collegio unico nazionale. 



In pochi giorni si è passati dal doppio voto alla tedesca all’impianto che abbiamo descritto, basato sui capilista bloccati. Perfino in M5s qualcuno se n’è accorto e ha detto: ma dove sono le preferenze? Così non possiamo decidere…

Nella sentenza 1/2014 la Consulta non ha detto che devono esserci le preferenze, ma ha detto che, comunque, un qualche rapporto tra eletto ed elettore ci deve essere, lasciando al legislatore il compito di determinare le forme attraverso cui realizzare questo rapporto. I candidati, ci diceva la Corte, devono essere conoscibili da chi li vota. Tanto è vero che, ai tempi, si faceva l’esempio dei collegi piccoli alla spagnola.

Perché?

Perché anche il proporzionale, all’interno di collegi piccoli — da 2-3 candidati fino ad un massimo di 5 — come sono quelli previsti in Spagna, può funzionare in un modo non troppo diverso da un maggioritario. Non è che il proporzionale rappresenta gli elettori e il maggioritario no; la differenza tra proporzionale e maggioritario, che è una differenza di formula elettorale, ha senso in relazione all’ampiezza dei collegi.

Fatto sta che Grillo ha rintuzzato nei ranghi i suoi parlamentari: si fa quello che ha deciso il blog, dunque avanti con l’accordo. 

Per forza. Un sistema del genere consente a lui, e a tutti gli altri segretari di partito, di decidere, dal primo all’ultimo, chi entra in Parlamento. Garantisce, in altre parole, la governabilità del partito a chi ha il potere di redigere le liste. Tutto il resto è secondario.

Che idea si è fatto della corsa al voto anticipato?

Renzi è ansioso di andare ad elezioni perché, fatto dimenticare il referendum del 4 dicembre, crede di essere pronto per sedere ancora a Palazzo Chigi. Ma non è questo il problema. Il problema vero è un altro: chi si accolla l’onere di votare una manovra di bilancio che, stando ai giornali, sembra destinata ad imporre un prelievo ulteriore di 30-40 miliardi? Sono anni che si sta rinviando e sembra che qualcuno a Bruxelles, ma si dovrebbe dire a Berlino, ha deciso che il tempo è scaduto. E ora il Fiscal compact chiede il suo tributo. 

E quindi?

E quindi Renzi, sapendo benissimo che il tempo è scaduto, e che a Berlino, dopo qualche anno di allentamento, si è deciso di stringere ancora un po’ sull’Italia, deve trovare qualcuno con cui fare una manovra lacrime e sangue che manderà nuovamente in recessione il paese. E ha deciso di farla con Berlusconi, che qualche giorno fa, nella prospettiva di tornare in gioco, ha riconosciuto il primato europeo della Merkel, definendola una grande statista. 

Ma il gioco qual è?

Il problema di fronte al quale si trova chi andrà a governare sarà quello di distribuire la responsabilità della stretta di bilancio in arrivo. Se l’obiettivo è questo, un governo di unità nazionale tra Pd e quel che resta di Forza Italia, ammesso che fra tre mesi si chiami ancora così, sarebbe la soluzione migliore. E una legge elettorale proporzionale, del tipo di quella che si sta discutendo, è quel che ci vuole per centrare l’obiettivo. Che è poi quello di realizzare governi di coalizione per attenuare la responsabilità politica per le scelte che saranno fatte. 

E Grillo?

A Grillo una legge elettorale del genere, con un governo del genere, va benissimo. Può scendere in piazza e gridare all’inciucio.

I responsabili da una parte e lo scalmanato dall’altra. Ma hanno ragione Berlusconi e Renzi di essere ottimisti?

Secondo me dovrebbero essere più cauti. Dopo venticinque anni di conflitto, la campagna elettorale di un Pd che abbraccia Berlusconi e di un Berlusconi che abbraccia i comunisti potrebbe non essere troppo efficace. Dovranno dissimulare bene per evitare di perdere troppi voti sulle ali. In astratto, con il proporzionale non si potrebbe nemmeno escludere un patto M5s-Lega. Avrebbero un terreno comune, forse l’unico: quello dei vincoli di bilancio europei.

L’anti-establishment al potere.

Numericamente è un’ipotesi che ci può stare. Solo che il Movimento 5 stelle dovrebbe essere qualcosa diverso da quello che è, ovvero un grande contenitore artificiale concepito per intercettare e surgelare il dissenso in un paese che è in recessione dal 2011. Come ha detto qualcuno, il M5s serve a portare a spasso nei prati la gente che potrebbe assaltare i palazzi. Insomma, è l’opposizione usata e sicura.  

Insomma l’accordo Pd-FI-M5s sulla legge elettorale è un patto per incaprettare il paese.

Certo. Il lavoro cominciato in Italia da Monti continua. Il proporzionale serve a questo, oggi: a fare governi di esecuzione locale di direttive centrali, affidati ad una coalizione in cui tutti sono responsabili, e quindi nessuno è responsabile. Contemporaneamente va avanti il progetto di ristrutturazione europea che ha cominciato a delinearsi dopo il Brexit: a Jens Weidmann la Bce. 

Quello ci stanga tutti.

Diciamo soltanto che fa il suo mestiere, che è poi quello di drenare, attraverso il sistema bancario, capitali dalla nuova periferia d’Europa, cioè noi, verso il centro. E cioè in quella Germania le cui banche ed il cui sistema previdenziale non sono messi benissimo, alla faccia dei surplus commerciali. Poi un francese ad un ipotetico, istituendo ministero del Bilancio europeo: il ruolo di Moscovici, per intenderci, ma più in grande e con poteri più penetranti. E infine, per onor di firma, un italiano che curi quel progetto di difesa comune europea su cui si sta realizzando il nuovo scambio politico tra Francia e Germania. L’impressione è che ormai a Bruxelles vogliano stringere i tempi.

Stringere i tempi su cosa?

Sull’emancipazione dagli Usa. Si ricorda le frasi di Merkel contro Trump? Prendere in mano il proprio destino è un’espressione che, pronunciata da un tedesco e riferita all’Europa, ricorda tanto qualcosa che non si vorrebbe ricordare e suggerisce l’impressione che l’epoca che si è aperta dopo il 1945 sia davvero finita. Ma era il momento giusto: gli Stati Uniti non sono mai stati in una situazione così difficile dal punto di vista istituzionale. Da un lato c’è Trump e dall’altro la burocrazia che, durante i due mandati della presidenza Obama, ha occupato tutte le cariche interne al governo federale e non ha nessuna intenzione di assecondare il nuovo arrivato. Il risultato è un vuoto impressionante negli equilibri mondiali.

Obama intanto fa il presidente del mondo.

Diciamo che fa a tempo pieno il presidente emerito degli Usa. Esattamente quello che, fino a qualche tempo fa, ha fatto, in piccolo, Napolitano con Mattarella. Mi pare uno schema ben collaudato. 

(Federico Ferraù)