Che non vi fosse una spiccata simpatia tra Donald Trump e Angela Merkel si era capito fin dal momento del loro primo incontro, nel corso del quale, oltre alla faccenda della mancata stretta di mano, i due leader avevano mostrato pareri discordanti sul tema dell’immigrazione e sui rapporti con la Russia. Durante il G7, poi, il presidente americano aveva definito la Germania “very bad” per via delle sue politiche commerciali. Poco dopo la Merkel a Monaco ha ammesso pubblicamente che non era più tempo di fidarsi degli alleati di vecchia data e che per gli europei è arrivato il momento di fare da soli. 



Lo scontro è aperto e non bastano le smentite del caso per nascondere una dinamica preoccupante nelle relazioni tra gli Stati Uniti d’America e l’Unione Europea. 

Sostanzialmente Trump ha attaccato la Germania su due punti: il mancato raggiungimento del 2 per cento del Pil da destinare alle spese per la Difesa, parametro delineato dal Summit Nato del 2014 in Galles, ed il crescente deficit statunitense nei confronti dell’alleato tedesco.  



E’ vero che la Germania investe meno del 2 per cento del proprio Pil in Difesa, ma è anche uno dei pochi paesi che concretamente pianificano e ritengono di poter raggiungere il target entro i prossimi anni. Anche la seconda accusa, ovvero quella secondo cui il governo tedesco mantenga appositamente basso il tasso di cambio dell’euro rispetto al dollaro, al fine di favorire le proprie esportazioni, genera scetticismo. Il Paese potrebbe aumentare la domanda interna per permettere l’ingresso a prodotti stranieri, ma se genera un surplus è grazie alle proprie aziende competitive e a prodotti migliori (motivo per cui gli stessi americani preferiscono le automobili tedesche alle proprie). Sicuramente, questo, un argomento delicato per l’animo nazionalista di Trump, ma non può essere certamente un reale problema per l’andamento economico del gigante americano.  



Allora deve esserci qualcosa in più. Una ragione specifica per cui il presidente degli Stati Uniti si è scagliato così apertamente contro la Germania, centro indiscusso dell’Europa e suo traino nell’attuale delicato momento critico. 

Che il vero obiettivo di Trump sia l’Unione Europea? “America First” è la risposta. Attaccando la Germania probabilmente Trump ha intenzione di sollecitare lo spirito anti-tedesco ormai largamente diffuso in Europa, e lo fa calcando la mano su uno dei punti più largamente criticati, ovvero l’andamento positivo della bilancia commerciale del Paese. Lo stesso concetto a più riprese criticato dai movimenti antieuropeisti del Vecchio Continente che vedono nell’uscita dall’euro la possibilità di svalutare la propria moneta, in modo da favorire le esportazioni nazionali. 

L’indebolimento dell’Unione, organizzazione certamente non apprezzata da Trump, il quale ha largamente palesato un netto contrasto verso gli organismi multilaterali, è un obiettivo evidente fin dalle prime fasi della sua campagna elettorale. “L’America per prima”, ripete, fino allo sfinimento. Non significa isolazionismo, ma avere la possibilità di trattare bilateralmente con ogni paese, dimostrando i muscoli e la sua forza di negoziatore tanto sul piano commerciale, quanto, soprattutto, su quello politico. Affossare la competitività della Germania significa indebolire quella europea, frammentandola ulteriormente. Un’Europa disunita sarebbe un’Europa più debole e macchinosa, i cui membri necessiterebbero di guardare ai propri interessi, aprendo le porte a nuovi vantaggiosi accordi d’oltreoceano. Innescando un meccanismo di scontro aperto e diretto con la Germania, Trump sussurra, neanche troppo sommessamente, ai singoli paesi europei la possibilità di scegliere:  senza di noi, o con noi, ma alle nostre condizioni. 

Dal punto di vista economico, nell’analisi dei rapporti commerciali tra Usa e Ue, bisogna tenere presente che il deficit commerciale dei primi verso l’Unione è stato di 146,3 miliardi di dollari e, dall’inizio dell’anno, ha già raggiunto 32,1 miliardi. L’avversione di Trump al Ttip è cosa ben nota e la recente e timida riapertura ad un dialogo in tal senso da parte del ministro per il Commercio, Wilbur Ross, appare piuttosto una excusatio non petita

Da un punto di vista politico, d’altro canto, gli Stati Uniti senza Unione Europea, o con la stessa indebolita e ancora meno credibile, avrebbero certamente un vastissimo potere di manovra ed interlocutori più deboli, maggiormente interessati e con meno alternative. In questo senso, lo strumento della Nato, “svuotato” da una posizione europea comune, sarebbe perfetto per dare seguito al progetto statunitense di affermazione del muscolare e minaccioso “America first“. Ed è proprio in orbita Nato che la critica di Trump riguardo l’insufficiente aumento delle spese militari, mira a colpire i Paesi dell’Unione. Non a caso il Regno Unito, il solo tra i grandi stati europei ad aver raggiunto il parametro del 2 per cento del proprio Pil in spese per la Difesa, ha optato per la Brexit. 

Ora l’attacco frontale alla Germania, che dell’Unione Europea costituisce, nel bene e nel male, il più forte riferimento, sembra puntare al cuore della stessa facendo leva sui suoi più critici punti di debolezza: un’ulteriore “spinta” ad un’amica di vecchia data, spesso più di circostanza che di sostanza, già di per sé barcollante.