Discutiamo, ma senza sparare sul pianista. A dirlo è Francesco Boccia, presidente della commissione Bilancio della Camera, in minoranza nel Pd con Michele Emiliano. Critica Renzi, sempre più accerchiato dopo la sconfitta alle comunali, ma gli porge la mano. Getta acqua sul fuoco (“Franceschini? Sta semplicemente chiedendo un supplemento di confronto. Ha sempre lavorato per unire”) ma spera che il segretario cambi idea: l’autosufficienza del Pd è stata battuta nelle urne e insistere su questa linea vuol dire “andare a schiantarsi contro un muro”. Ci vuole la coalizione, spiega al sussidiario.



Si torni all’Ulivo, onorevole Boccia?

Sì e non solo per necessità. Il Pd è figlio dell’Ulivo e l’Ulivo è la più grande operazione di aggregazione politica degli ultimi settant’anni. Ha messo insieme i post-comunisti e i cattolici democratici, i liberali di sinistra, i repubblicani e i cattolici militanti. Certo era un modello che rispondeva ad una società che non c’è più: è cambiato il mondo, milioni di italiani che lo hanno votato vent’anni fa non ci sono più, al loro posto ci sono giovani completamente diversi.



Polemizza con Prodi?

Al contrario. Voglio ripartire proprio da quella formula. Oggi (ieri, ndr) ero con Prodi al congresso Cisl, ho ribadito che la tenda di Prodi altro che fuori dal Pd, deve starne al centro.

Cosa significa in concreto?

Significa ripartire dal pensiero lungo di Prodi su economia ed Europa, allargandolo alla forza innovatrice che il Pd ancora possiede. La separazione del Pd dalle sue radici uliviste sarebbe deleteria, d’altro canto l’Ulivo da solo oggi non basterebbe. 

Ma Renzi non ci sta a fare un passo indietro. Provi lei di convincerlo a fare l’Ulivo con Prodi.



Io confido in un partito vero, che dice la verità al segretario. Lavoro per questo. Non ci vedrei nulla di male se Renzi prendesse atto che sulla linea politica serve un confronto.

Ci crede sul serio?

Sono rimasto nel Pd per questo. Chi è andato via ha sbagliato, poteva restare nel Pd in posizione di minoranza e lavorare per il cambiamento. 

Orfini intanto ha silurato l’Ulivo su Repubblica: ha definito Prodi “un ottimo premier costantemente condizionato se non ricattato da micropartiti privi di consenso”.

Questo è un problema che si risolve con la legge elettorale. Con la soglia di sbarramento al 5 per cento — meglio al 4 perché più rappresentativa, ma anche il 5 va bene — non ci sarebbe spazio per i partitini dell’Unione. Ci sarebbero uno o due partiti più piccoli con i quali, se arrivano in Parlamento, si fa l’accordo di governo. 

Alternative?

L’alternativa è l’autosufficienza del Pd. Ma così il Pd si suicida. Se speriamo di prendere il 40 per cento non andiamo da nessuna parte.

Che cosa aspetta Renzi a cambiare idea?

Io anatemi politici non ne ho mai lanciati, ho mandato però degli warning precisi. Se avessimo messo 20 miliardi, 10 pubblici e 10 privati in un fondo ad hoc, come già dicevo nel 2014 e nel 2015, probabilmente non avremmo dovuto fare sulle banche una parte delle operazioni che sappiamo e che ci sono costate tre volte di più.

A proposito di legge elettorale. Condivide che si vada verso un impianto proporzonalista?

Sono per il maggioritario, ma siccome in Parlamento non ci sono i numeri per farlo, l’importante è essere trasparenti con gli elettori e non fare i furbi.

Cosa vuol dire?

Significa non dire una cosa procurando o sperando che ne accada un’altra. E’ successo al centrodestra quando fece il Porcellum ed è successo a noi. Sappiamo poi come va a finire. Ricordo, per chi se lo si fosse dimenticato, che nella scorsa legislatura il Pd preferiva il doppio turno francese. Presupponeva il presidenzialismo. Non se n’è fatto nulla. 

Quindi?

Il sistema tedesco era condiviso dall’80 per cento delle forze parlamentari. Ripartiamo da quello schema. Aveva una sua logica, pur con alcuni limiti: uno di questi era il premio di maggioranza. Si fissi la soglia di sbarramento al 4 o al 5 per cento, e anziché lasciare tutti liberi di correre dando ad intendere agli elettori che si può arrivare al 51 per cento, salvo poi fare un governo Pd-Forza Italia, si premi la coalizione fatta prima del voto e chi raggiunge il 40 per cento prende il premio e governa. E se nessuno arriva al 40 per cento si fa il governo con chi ci sta. Così nessuno può più tradire gli elettori.

Intanto alle comunali con Emiliano avete fatto prove di Ulivo in Puglia. E giusto dire così?

Abbiamo vinto perché nella costruzione delle coalizioni siamo partiti dal centrosinistra unito, allargandolo anche ad elettori del centrodestra che attraverso liste civiche hanno aderito al progetto. E’ un Ulivo allargato al civismo. Dellinoci a Lecce veniva dal centrodestra, facendo il patto con noi si è spostato sulla nostra idea di città. Se prima non costruisci il centrosinistra ma pensi di andare con una scorciatoia a prendere i voti di centrodestra, esci sconfitto.

Ogni riferimento a Renzi è casuale.

Serve un Pd largo, inclusivo, sul modello dei laburisti inglesi. Puoi perdere le elezioni, ma hai una connotazione, sai cosa voti. Oggi si può dire tutto di Corbyn, ma il modello di società che ha in mente è riconoscibile, non si sbaglia.

Anche Renzi diceva di guardare al Labour. Sicuro che il laburismo non sia il grande sconfitto dell’ultimo ventennio?

Si è chiuso il ciclo del Labour party di Tony Blair. 

Quello sceso a patti con la grande finanza.

Oggi serve un’altra sinistra, attenta alle nuove povertà, alle differenze sociali che ci sono e sono enormi. Il mondo è più tecnologico ma molto più povero, fatto di meno opportunità. I giovani sulla carta stanno meglio di prima, in realtà hanno meno opportunità di ieri. Oggi la sinistra deve regolare il mercato. O ci aspettiamo che lo faccia la destra? Chi mette la persona al centro e vuole costruire nuovi modelli redistributivi delle opportunità e della ricchezza troverà a occhi chiusi dalla stessa parte Emiliano, Civati, Fassina, Fratoianni, Prodi e Boccia. E anche lo stesso Renzi, che viene da questa storia ma se n’è dimenticato.

Quando si vota? A fine legislatura?

Sì, non ci sono le condizioni per fare diversamente. Andare a votare con il Consultellum e ciò che resta dell’Italicum sarebbe tradire degli italiani.

Ma Renzi è tentato da quest’ipotesi, lei lo sa benissimo. Fare presto per uscire dal guado, riproporsi come premier portando in Parlamento chi piace a lui.

Non credo che Renzi la pensi così. Vorrebbe dire andare a schiantarsi contro un muro.

(Federico Ferraù)