Pier Carlo Padoan la mette giù sul tecnico, del resto lui non è un ministro politico e per spiegare l’incertezza della politica ricorre ai paragoni da professore di economia. La “situazione difficile” del Paese è più problematica della fine del “quantitative easing”, cioè il sostegno della Bce di Mario Draghi alle economie meno inclini alla ripresa, a partire dalla nostra. Siccome le iniezioni di liquidità nel sistema volute da Draghi in cambio di titoli di stato andranno a scadere nel 2018, dire che esiste qualcosa di più pericoloso che la fine della droga finanziaria è quasi come innescare una bomba.
Padoan parla a Trento al festival dell’economia e dice che l’anno prossimo tornerà “da pensionato”. Significa che, anche se vincesse Renzi le elezioni e tornasse a fare il presidente del Consiglio, lui non sarà il ministro dell’Economia del nuovo esecutivo. Insomma, Padoan ha rotto con Renzi, si è stufato della perenne incertezza in cui è obbligato a muoversi il governo Gentiloni, ed è seccato soprattutto perché chi agita le acque è l’azionista di maggioranza dell’esecutivo.
Il partito che non si presenterà alle urne è quello che insiste per aprirle subito, il partito del voto anticipato, della legge elettorale fatta di corsa, il partito della legge purchessia. Il partito di chi non vuole assumersi responsabilità dei nuovi sacrifici che verranno imposti in autunno. Padoan è l’uomo che in questi anni ci ha messo la faccia, che deve mediare con l’Europa, che ha sopportato più di altri la spacconeria e l’arroganza del segretario Pd. Se si è permesso di fare la battuta del pensionato, è anche perché sa che il momento del congedo è sempre più vicino. Tant’è vero che si consente una seconda battuta: “Chiunque farà la legge di bilancio…”. Quindi non soltanto non sarà il ministro del governo Renzi a scadenza naturale della legislatura, ma non lo sarà — a maggior ragione — nemmeno in autunno in caso di voto anticipato. Renzi è avvertito: dovrà trovarsi un altro parafulmine nei rapporti con Bruxelles. Padoan ritiene infatti che la sua priorità sia “lasciare un Paese con i conti pubblici in sicurezza” piuttosto che reggere a tutti i costi il gioco di Renzi.
Il titolare dell’Economia sa che Renzi ormai ha deciso. E infatti anche la giornata parlamentare di ieri è stata assorbita dalle trattative per limare la nuova legge elettorale. Tutti a presentare emendamenti, tutti a chiedersi se Forza Italia o i grillini o gli ex piddini demoprogressisti terranno fede all’impegno preso. Il vero nodo da sciogliere è come garantire più spazio in Parlamento ai listini bloccati, cioè dare più potere alle segreterie dei partiti che decidono le persone e la loro collocazione in lista, esattamente come succedeva con il vituperato Porcellum anche se il meccanismo pratico di elezione sarà diverso. E dietro a queste manovre c’è pure il timore di molti attuali parlamentari, tra cui vari grillini, di non essere confermati con il nuovo sistema.
Difficile intravedere grandi idee di “bene comune” in questo mercato; bisogna tuttavia tenere conto che è questo Parlamento a dover varare la nuova legge elettorale e che Renzi è disposto a tutto pur di avere una legge in tempi brevi che gli consenta di andare di corsa al voto. Le incertezze dei 5 stelle potrebbero fargli gioco: in fondo anche loro non sono poi così diversi dagli altri partiti che difendono indennità e poltrone. Dopo le polpette avvelenate per il governo e i centristi di Alfano, l’ex rottamatore sta seminando esche velenose anche per gli adepti di Beppe Grillo. E spera di trarne vantaggio in campagna elettorale.