Dopo l’arguta e vincente proposta di scambio, proporzionale contro elezioni anticipate (che ci saranno!) avanzata da Berlusconi a Renzi, il problema di Arcore è adesso quello di avere una forza sufficiente sia per tornare leader indiscusso di un ormai antistorico (ma non si sa mai) centrodestra, sia — soprattutto — per tornare decisivo nella formazione del prossimo Governo.



E su questo versante le difficoltà appaiono evidenti. Berlusconi sa benissimo che il suo attuale consenso elettorale non può neppure ambire al 20 per cento dei suffragi. Un risultato che se da un lato gli permette di “asfaltare” la Lega, dall’altra non lo rende per niente sicuro di essere indispensabile nel varo del prossimo Esecutivo.



Quindi a Berlusconi servono, inderogabilmente, due sponde: il vecchio amico Bossi che, candidandosi fuori della Lega, gli permetterebbe di erodere consenso tra le fila del lepeniano Salvini e, soprattutto, i centristi che con uno sbarramento al 5 per cento rischiano molto ma i cui consensi potrebbero tornare utili ad un nuovo progetto politico (Forza Italia in una tale prospettiva potrebbe essere destinata a tornare nel cassetto) che possa ambire ad un importante 25 per cento.

A quel punto la pari dignità con il Pd scaturirebbe dai fatti. E Mattarella ne dovrebbe prendere atto!

È su questo “progetto aggregante”, che prosegue il lavorio silenzioso del Cavaliere, il quale, come ogni buon imprenditore, gli “affari” preferisce curarli in proprio, direttamente a quattr’occhi con gli interlocutori e senza umorali mediatori la cui opera invece è determinate adesso, nel periodo della costruzione della legge elettorale.



Infatti, appoggiare con forza alcune delle richieste centriste come l’adeguamento dei collegi al suffragio 2001 (l’argomento preferenze è escluso a priori) potrebbe essere la tattica giusta per concedersi qualche altra settimana di pre-campagna elettorale e per attirare nell’orbita di un nuovo ampio rassemblement (parola tanto cara ad Arcore) i tanti cespugli del centro.

Prospettiva che potrebbe rivelarsi davvero credibile (e per tanti versi rivoluzionaria ed anti-casta) se accompagnata dalla richiesta inderogabile di un passo di lato dei tanti “capi sigla” (da Alfano a Fitto, a Parisi, a Tosi, a Cesa ecc) i quali, alla stregua di Berlusconi, dovrebbero restare — da padri nobili — fuori dal Parlamento. In fondo gli stessi Renzi, Grillo e Berlusconi sono la prova provata di come una leadership ed una forte influenza politica possa essere ampiamente esercitata anche fuori dal palazzo.

Chi vivrà vedrà. Ma se Berlusconi non è cambiato (e non sembra affatto) c’è da scommettere che saprà valorizzare ciò che Renzi ha scartato con troppa disinvoltura per tentare di tornare — ancora una volta e senza velleità di poltrona — a smazzare le carte.