Il patto traballa. I tira e molla di Grillo, opportunamente calcolati, e le bordate di Napolitano mandano a sbattere l’accordo dei quattro maggiori partiti sulla legge elettorale. Ieri sono cominciate le votazioni nell’aula della Camera e i franchi tiratori hanno dato spettacolo, dimostrando che la legge elettorale si regge su un equilibrio molto, molto precario.



E’ martedì sera quando l’accordo elettorale di Renzi, Berlusconi, Grillo e Salvini viene definito dall’ex presidente della Repubblica come “patto extracostituzionale” di “quattro leader di partito che agiscono solo calcolando le proprie convenienze“. Il voto anticipato? Da irresponsabili: “In tutti i paesi democratici europei — ha detto ancora Napolitano — si vota alla scadenza naturale delle legislature: fare diversamente significa dare il massimo contributo negativo al consolidamento della credibilità politico-istituzionale del paese”. 



Parole più pesanti non potevano essere. E gli avvenimenti delle ventiquattr’ore successive hanno puntualmente dimostrato che qualcosa si è rotto. Il punto di Luciano Ghelfi, quirinalista del Tg2.

Tutto sembra complicarsi. Cosa sta succedendo e perché?

E’ la dimostrazione che l’accordo è assai meno blindato di quanto non possa sembrare. Non solo il fronte dei contrari (Mdp, Sinistra Italiana, Fratelli d’Italia e centristi vari) è intenzionato a vendere cara la pelle. Ci sono anche larghe sacche di malpancisti dentro i quattro partiti che hanno fatto il patto. Si pensi a Chiti, orientato per il no. Lui è solo la punta di un grande iceberg, se si pensa che sulle pregiudiziali di costituzionalità Pd, 5 Stelle, Forza Italia e Lega hanno avuto solo 310 voti sui 449 teoricamente a loro disposizione. Si sono calcolati 30 deputati in missione, 37 assenti ingiustificati e quindi ben 72 franchi tiratori. Se si pensa che ci dovrebbero essere un centinaio di voti segreti, tutto può ancora succedere.



Parliamo di accordo, ma forse bisogna intendersi: quello sulla legge o quello sul voto anticipato? Quale dei due condiziona politicamente l’altro?

Senza dubbio è il desiderio di andare presto al voto a prevalere sui contenuti dell’intesa sulla legge elettorale, che sembra fatta apposta per evitare che qualcuno si possa fare troppo male. E’ logico però che se qualcosa dovesse andare storto nell’iter del “Germanellum” quello che vacillerebbe per davvero sarebbe il voto in autunno, perché non ve ne sarebbero le condizioni. E il fronte del no lo sa perfettamente.

Prima Grillo dice sì al patto, e zittisce i parlamentari che tirano di traverso; poi parla di “una legge che non capisce nessuno”, ma si va avanti, anzi no, meglio rivotarla sul blog. Che cosa ha in mente?

Difficile dirlo. Le ipotesi che si possono fare sono due. Quella minimale è che voglia tenere il resto dei partiti sulle spine per strappare più concessioni possibile. Ma c’è anche la possibilità di interpretare letteralmente le sue parole. E a quel punto davvero l’accordo potrebbe saltare dopo il sì della Camera, ben sapendo che senza il Movimento 5 Stelle al Senato i numeri sarebbero troppo risicati per rischiare di proseguire. 

E poi Napolitano. L’ex capo dello Stato ha lanciato siluri devastanti contro il patto a Quattro. Perché questa iniziativa? Perché proprio adesso?

Napolitano è coerente con se stesso. Ha ribadito quel che ha sempre sostenuto, e praticato quando fu determinante nella nascita del governo Monti. La sua convinzione è che si debba fare di tutto per votare alla scadenza naturale prevista dalla Costituzione. E il suo affondo di martedì dimostra ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, che il patto sul voto è più importante di quello sulle regole per votare. Si tratta però anche della certificazione che oggi Napolitano la pensa in maniera differente da Renzi.

Si potrebbe dire che così facendo Napolitano “aiuta” Mattarella. Ma c’è anche un’altra ipotesi: di fatto, gli lega le mani. Ora Mattarella può solo tacere. Che ne pensa?

La preferenza di Napolitano per una fine ordinata della legislatura, con il varo della legge di bilancio da parte di questo Parlamento, è la stessa di Mattarella, che si è espresso più volte in questo senso. Per indole Mattarella è meno interventista del suo predecessore, almeno sul piano pubblico. Poi non siamo lontani dal vero nell’ipotizzare che la moral suasion del Quirinale si sia impegnata, e si stia ancora impegnando a convincere i protagonisti della politica a evitare forzature. 

Se sulla legge elettorale il patto fra quattro partiti che rappresentano l’80 per cento degli italiani dovesse reggere sino in fondo?

Mattarella non potrebbe che esserne soddisfatto. Sarebbe quella convergenza che lui stesso ha sollecitato. Solo allora ci saranno le condizioni per pensare al voto anticipato. Anzi, a quel punto anche il Quirinale potrebbe concordare sul fare il più in fretta possibile. Non a caso ha preso quota la data del 24 settembre. Ma sino al varo della legge elettorale è inutile fare troppe ipotesi, perché tutto potrebbe saltare da un momento all’altro. 

E se il braccio di ferro sul voto a settembre si fosse improvvisamente rivelato, anche da parte degli altri leader, un modo per impallinare Renzi?

Scenario interessante, e non del tutto da escludere. E forse non è un caso che Berlusconi abbia già cominciato a parlare di Mario Draghi come il migliore presidente del Consiglio immaginabile. 

Anche giornali come il Corriere, di fatto, avallano l’idea che l’accordo, quello stesso accordo che sta traballando, pre-orienterebbe le decisioni di Mattarella in favore dello scioglimento anticipato. E così?

Se l’accordo dovesse saltare, Mattarella avrebbe grandi difficoltà a sciogliere le Camere in anticipo. Ci sarebbe da fare la legge di bilancio e da rattoppare i due monconi di leggi elettorali usciti dalle sentenze della Corte costituzionale. In quel caso non si voterebbe prima di febbraio 2018. Solo se l’accordo regge fino in fondo il voto a settembre potrà concretizzarsi.

(Federico Ferraù)