Si torna in commissione. Non tiene il patto elettorale della banda dei Quattro. La legislatura finisce come era cominciata: con lo scannatoio del Partito democratico sempre al lavoro, secondo logiche ormai incomprensibili ai più. Nulla di più facile che ora Matteo Renzi tenti la strada del decreto del governo per puntare ad una soluzione più corrispondente ai suoi desiderata, accusando i pentastellati di irresponsabilità.
Accusa respinta al mittente da Grillo. Ma la verità è che il Pd ha tenuto lontano da voti decisivi troppa gente. Scenario mai visto durante i voti complicatissimi della riforma costituzionale, che aveva numeri ben più risicati. Il solo che sembra predicare sul serio responsabilità è Silvio Berlusconi. Di fronte alla prospettiva di andare al voto con il cosiddetto Consultellum, l’anziano leader prende tempo nel tentativo di capire come fare per dare le carte. Magari generando una maggioranza simil-Letta per sistemare la legge elettorale in parlamento, evitando di sottostare ai ricatti del sempre più ansioso segretario Pd. Appunto, dopo quattro anni si è tornati al punto di partenza. Quando tutti volevano promuovere un percorso comune. E a far saltare il banco si alternavano Beppe Grillo e Matteo Renzi. Oggi come allora fuori dal Parlamento. Oggi come allora convinti di poter lucrare dal caos.
Nel frattempo, forse si salveranno gli alfaniani, i casiniani, i verdiniani e qualche vecchio comunista. L’Italia, nel frattempo, andrà a farsi fottere, ma alla Camera dei deputati — dicono i giornalisti — nelle stanze dei piccoli gruppi i politici hanno stappato lo champagne.
E vedrete che dissolto lo spauracchio dello sbarramento al 5 per cento anche le voci grosse sentite in questi giorni in favore delle preferenze e della democrazia, si affievoliranno fino a scomparire.
Ma un’alternativa c’è. Se in questi giorni di legge elettorale vi sembra che arrivare ad un sistema di voto condiviso in Italia sia molto complicato, forse si potrebbe tornare a come veniva eletto il doge della Repubblica di Venezia. Il Maggior Consiglio si radunava e si mettevano in un’urna tante ballotte quanti erano i consiglieri con più di 30 anni; il consigliere più giovane si recava in Piazza San Marco e prendeva con sé il primo fanciullo che incontrava, il quale estraeva dall’urna una ballotta per ciascun consigliere e solo quei 30 a cui toccava la parola “elector” restavano nella sala. Le 30 ballotte venivano poi riposte nell’urna e solo 9 contenevano il biglietto; i 30 si riducevano così a 9, che si riunivano in una specie di conclave, durante il quale, con il voto favorevole di almeno 7 di loro, dovevano indicare il nome di 40 consiglieri. Col sistema delle ballotte contenenti il foglietto i 40 venivano ridotti a 12; questi, con il voto favorevole di almeno 9 di loro, ne eleggevano altri 25, i quali venivano ridotti di nuovo a 9 che ne avrebbero eletto altri 45 con almeno 7 voti favorevoli. I 45, sempre a sorte, venivano ridotti a 11, i quali con almeno 9 voti favorevoli, ne eleggevano altri 41 che finalmente sarebbero stati i veri elettori del Doge. Questi 41 si raccoglievano in un apposito salone dove ciascuno gettava in un’urna un foglietto con un nome. Ne veniva estratto uno a sorte e gli elettori potevano fare le loro eventuali obiezioni ed accuse contro il prescelto. Questi veniva poi chiamato a rispondere e a fornire le eventuali giustificazioni. Dopo averlo ascoltato si procedeva ad una nuova votazione; se il candidato otteneva il voto favorevole di almeno 25 elettori su 41, era proclamato Doge, se non si riuscivano ad ottenere questi voti si procedeva ad una nuova estrazione finché l’esito non risultasse positivo. Oltre rimane solo lo Spirito Santo.