Caro direttore,
di Renzi abbiamo detto più volte. A ben vedere non è l’unico in difficoltà, dopo le affannose e scomposte — ma inevitabili — prese di posizione sui migranti. 

Matteo Salvini e Giorgio Meloni sono contro gli immigrati e contro l’Unione Europea, può essere anche un’idea, lì ci sono problemi veri. Ma oltre a essere contro, di cosa sono a favore? Qual è la loro proposta politica? Vogliono ribattere la lira e consegnare l’Italia a essere la periferia di Tripoli? Anche queste sono idee, parliamone. Ma almeno finora non le hanno espresse né si sa per che cosa (non “contro” che cosa) siano in politica.



Lo stesso vale per il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo: è contro i disonesti e per gli onesti. Questo però, tutti lo sanno, è condizione necessaria ma non sufficiente.

Mentre quindi l’Italia si avvia alla scadenza naturale del parlamento e gli italiani sono sempre più stanchi della loro classe dirigente, Meloni, Salvini e Grillo hanno di fronte la scelta che potrebbe farsi sempre più urgente col passare delle settimane, per evitare di rimanere isolati nelle loro proposte “contro” senza niente di propositivo. La stessa sfida cade però sulle vecchie formazioni —Pd e FI —, che devono uscire dalle promesse vuote e diventare concrete.



Ciò non solo perché lo chiedono gli elettori, ma anche perché il contesto internazionale sta rapidamente mutando. Il Brexit, dopo due scommesse perse del partito conservatore britannico, da leva per smontare l’Unione Europea sta paradossalmente diventando strumento per rafforzarla. Infatti, proprio per affrontare la sfida della trattativa con Londra e altre sfide attuali e eventuali, Parigi e Berlino stanno intensificando i colloqui per una riforma della Ue. Ciò avviene anche sull’onda della vittoria di Macron in Francia e dell’atteso successo della Merkel in Germania.

Nel Regno Unito il fallimento al referendum sul Brexit ha spazzato via Cameron, il fallimento alle elezioni sta cucinando a fuoco lento Theresa May. La ridda dei nomi sul successore è cominciata, ma è possibile che il partito aspetti il risultato del voto tedesco a settembre per decidere sul da farsi.



Una volta che il quadro a Berlino, oltre che a Parigi, si sarà chiarito appare probabile che alla Gran Bretagna sia offerta la possibilità di partecipare all’architettura della nuova Ue, e questa potrebbe essere una scusa conveniente per dichiarare che le condizioni del Brexit sono completamente superate.

Ciò è tanto più possibile visto che in America Donald Trump (grande sostenitore del Brexit e avversario della Ue) non ha superato i suoi problemi. Il partito democratico vorrebbe tenerlo al potere per ridurne l’immagine e quindi vincere le prossime elezioni, i repubblicani sognano le sue dimissioni per avere invece una speranza di non perderle.

Dettagli, forse. Comunque è in questo quadro che l’Italia deve pensare a se stessa, piaccia o meno. Oggi molti dei suoi politici sono paralizzati da conticini sulle date come se la politica fosse un cruciverba fatto in casa, una lite da organizzare come se il mondo intorno non contasse.

Invece è il quadro di una riforma della Ue che conta. In questo contesto Renzi, Berlusconi, Grillo, Meloni e Salvini devono elaborare risposte convincenti.

In Cina, tutti i vari cambiamenti del mandato celeste (tradotto in italiano semplicemente come “rivoluzione”) da quello di Liu Bang, che fondò la dinastia Han, a quello di Mao Zedong, che portò al potere il partito comunista, erano fondati su “sì” specifici: meno rigore nell’organizzazione statale o distribuzione della terra ai contadini. Chi perse, i Qin unificatori di tutto quello che era sotto il Cielo, o i più modesti nazionalisti del Kmt, dicevano invece solo “no” alle riforme e al cambiamento.