Renzi non desiste e promette di ingaggiare una nuova battaglia con l’Ue per superare il Fiscal compact. Ma quello del segretario del Pd è l’ennesimo bluff, spiega il costituzionalista Mario Esposito, perché il Fiscal compact rimane e funziona, semmai all’Italia viene concessa una deroga. Come ha fatto ieri la Commissione Ue, dicendo sì alla richiesta del governo italiano (avanzata il 30 maggio scorso) di impostare la legge di bilancio 2018 all’insegna di una maggiore flessibilità purché sia garantito il calo del debito. Un nuovo smacco per Renzi, dopo che Padoan aveva definito la proposta del segretario del Pd “esterna al governo”. Nessuna novità sostanziale invece sul fronte dell’emergenza migratoria: a conclusione del summit trilaterale di Trieste con Macron e Merkel, Gentiloni ha parlato di “progressi non sufficienti”.
Renzi intende contravvenire alle regole del Fiscal compact. Ma è possibile?
Ciò che lascia di stucco è che un ex capo del governo dica di voler sottrarre il paese a scelte sulla propria sovranità liberamente contratte e senza preoccuparsi delle forme giuridiche, che non sono certamente quelle delle domande di concessioni di deroga.
Eppure sono regole capestro per la nostra economia. E Renzi si è messo nella parte di chi lotta contro chi ci vuole strangolare.
Il punto è che i peggiori nemici dell’Italia siamo stati noi italiani. Il peccato originale dei nostri rapporti prima con la Comunità economica europea e poi con l’Unione europea è aver negoziato la nostra adesione e la nostra partecipazione al cammino comunitario con incredibile disinvoltura e per di più in forme giuridicamente illegittime. Il trattato di Maastricht, in base al quale abbiamo accettato un cambio lira-euro svantaggiosissimo per noi, ha fatto il resto.
Perché parla di forme giuridicamente illegittime?
Fin dal trattato di Roma del ’57 abbiamo di volta in volta ratificato e dato esecuzione ai trattati europei con legge ordinaria, cioè con le maggioranze necessarie per l’approvazione di una comune le legge parlamentare.
Qual era la strada?
La revisione costituzionale. Posto pure, ed è discutibile, che l’articolo 11 autorizzi limitazioni permanenti anche della sovranità interna, ciò non implica affatto di poter derogare alla procedura di revisione costituzionale prevista dall’articolo 138.
Ma chi ce lo ha fatto fare di mettere in Costituzione il pareggio di bilancio cambiando l’articolo 81?
Abbiamo sottoscritto un accordo internazionale in forma semplificata.
Cioè?
Un accordo sottoscritto dal governo senza ratifica del parlamento, come invece è previsto dall’articolo 80. Eppure la materia era squisitamente politica, perché in quell’accordo si chiedeva di introdurre modifiche costituzionali con pesanti ricadute a livello di finanza pubblica.
E adesso?
Renzi o non Renzi, siamo costretti a rispettare i parametri previsti. A meno di non voler denunciare l’accordo: ma c’è da credere che non si arriverà a tanto. E d’altra parte, come dicevo, di tutto si parla oggi tranne che delle forme giuridiche di recesso.
Ieri da parte della Commissione c’è stata un’apertura: sì ad un aggiustamento del deficit per il 2018 pari allo 0,3 per cento del Pil invece che dello 0,6 come previsto dal Def.
Ma è una deroga concessa in sede europea. La deroga alla regola conferma che vige la regola. E conferma che si può derogare solo se le autorità di Bruxelles sono d’accordo.
Il Trattato sulla stabilità è stato firmato dal governo Monti nel marzo 2012. Come ci siamo arrivati?
E’ stato il governo Berlusconi nel 2011 stipulando l’accordo in forma semplificata denominato Europlus. Ben prima della famosa lettera estiva che ha segnato la svolta di quella legislatura. Se ne parla poco, ma è questo accordo che ha portato alle modifiche dell’articolo 81 e delle altre disposizioni collegate. Anzi, a volerla dire tutta, per un mistero tutto italiano, il procedimento di revisione costituzionale di cui parliamo fu avviato il giorno prima della sottoscrizione dell’Europlus.
Sì è scoperto che l’operazione Triton firmata dal governo Renzi ci obbliga ad accogliere tutti i migranti sul nostro territorio. Anche questa è una limitazione della nostra sovranità?
C’è da chiedersi se Triton non sia anch’esso un accordo internazionale stipulato in forma semplificata. E infatti non mi pare che ci sia stato un passaggio parlamentare.
Quali sono le implicazioni politiche di tutto questo?
Il primato degli esecutivi sui parlamenti democraticamente eletti. E’ un fenomeno non solo italiano, ma sono le condizioni istituzionali innanzitutto del nostro paese a farcene capire la portata. Se una scelta governativa è riuscita a muovere una revisione costituzionale come quella dell’articolo 81, la firma di Triton, come si vede chiaramente da quanto sta accadendo, è una scelta che tocca in profondità la società italiana senza che la rappresentanza politica abbia giocato il ruolo che le compete.
Siamo ancora un paese sovrano?
Se qualcosa è rimasto della nostra sovranità, questa è profondamente limitata. Direi che siamo in amministrazione controllata.
Se la sovranità non è più la stessa, cosa c’è al suo posto?
Prevalgono leghe egemoniche, alleanze di fatto tra gli stati più forti. Le narrazioni politiche nascondono abilmente questi cambiamenti e questi nuovi rapporti di forza. Prenda la Francia di Macron: il nuovo presidente francese è stato celebrato come un nuovo leader europeo, mi pare invece che sia più sovranista di Marine Le Pen. Ma nessuno lo dice.
(Federico Ferraù)