Bilancio di giornata: Paolo Gentiloni incassa l’ok della commissione europea alla flessibilità per la legge di bilancio 2018 e il sì della Camera alla fiducia posta sul decreto legge che salva le due banche venete fallite, mentre a Trieste dialoga da pari con Merkel e Macron di Balcani e di come alleviare il peso sull’Italia dell’emergenza migranti. Gentiloni, insomma, governa, mentre a Roma Matteo Renzi annaspa. E quel libro scritto per prendere la rincorsa e ritornare a Palazzo Chigi rischia di trasformarsi in un clamoroso boomerang. Se non si tratta dell’inizio della fine, poco ci manca.
Sui social Renzi inanella una ironia dietro l’altra. Le sue ricostruzioni dei mille giorni al governo appaiono in molti punti come minimo disinvolte, quando non fantasiose, o palesemente falsate. Le smentite fioccano. Gli attacchi pure. Due casi su tutti: la versione secondo cui il patto del Nazareno sarebbe stato fatto saltare da Berlusconi, che avrebbe convenuto con D’Alema sul nome di Amato per il Quirinale, e poi la frase “Letta entrò in modalità broncio”, dal momento che — sostiene Matteo — l’avvicendamento alla guida dell’esecutivo sarebbe stato richiesto dalla minoranza del Pd.
Smentisce D’Alema, che parla di sciocchezze e fantasie. Smentisce Brunetta a nome di Berlusconi, che ricorda le 16 violazioni al patto del Nazareno, che Forza Italia imputa a Renzi. Smentisce Bersani. Ma soprattutto smentisce un gelido Enrico Letta: “Sono convinto che il silenzio esprima meglio il disgusto e mantenga meglio le distanze”.
Non c’è un commentatore che sia uno, a parte qualche pretoriano iper-renziano, a difendere l’ex sindaco di Firenze. Persino l’ex fedelissimo Claudio Velardi (a sua volta ex dalemiano) lo stronca con un definitivo “non ti reggo più”. Dopo la clamorosa gaffe in salsa leghista (“aiutiamoli a casa loro” sui migranti, come un Bossi qualsiasi), sempre contenuta in questo disastroso libro, Renzi sembra sempre più alla deriva, isolato e senza una politica precisa. Se si sposta al centro, per contendere spazio a Forza Italia e Carroccio, rischia di perdere alla sua sinistra altri pezzi di Pd, gli orlandiani, o quei bersaniani che sono rimasti — per ora — nella “ditta”. Rischia di ingrossare le fila dell’esercito di Pisapia, che sulle disgrazie del leader democratico potrebbe accrescere il proprio peso specifico, oggi incerto.
Su un punto, però, Renzi ha ragione da vendere: che sino a quando non si chiariranno le regole con cui si voterà a primavera, è perfettamente inutile porsi il problema delle alleanze. Oggi, infatti, la situazione è schizofrenica, perché fra Camera e Senato esistono su questo punto differenze sostanziali. I due monconi di legislazione sopravvissuti alla scure della Corte costituzionale divergono su diversi punti. E quello delle maggioranze è forse quello politicamente più significativo.
Per Montecitorio ciò che resta dell’Italicum continua ad assegnare un premio alla lista che dovesse arrivare a superare il 40 per cento dei voti. Il meccanismo non prevede quindi coalizioni, al massimo listoni di convenienza. Visto però che la soglia del 40 per cento è irraggiungibile per chiunque, questo si traduce in un invito a correre separatamente per massimizzare il valore del proprio simbolo e della propria identità.
Tutto cambia, invece, al Senato. Qui la soglia per accedere al riparto dei seggi è sulla carta più alta, dell’8 per cento su scala regionale (mentre alla Camera è del 4 per cento su dimensione nazionale). Ma se per Palazzo Madama ci si presenta in coalizione, la soglia magicamente crolla al 3%. Quindi a correre in coalizione c’è da guadagnarci, e pure parecchio.
La diversità dei meccanismi delle soglie e dei premi occupa il primo posto nella lista delle questioni che dovrebbero essere armonizzate, secondo i ripetuti moniti formulati dal presidente della Repubblica. Sinora questi richiami sono rimati lettera morta, e quindi questa diversità sostanziale di modelli rischia di pesare moltissimo in futuro. Fra l’altro è chiaro che si tratta di un punto talmente delicato che mai e poi mai potrebbe essere risolto con un decreto legge, vista la rigorosa interpretazione della legislazione d’urgenza che Sergio Mattarella ha sempre fornito.
Nessuno oggi può prevedere se in autunno questo nodo potrà essere sciolto, anche perchè gli interessi divergono: al centrodestra la coalizione farebbe comodo, così come alla minoranza Pd, che vuole inchiodare Renzi alle necessità dell’abbraccio con Pisapia e soci. Al contrario a Renzi e Grillo la lista unica conviene. E in fondo anche a Berlusconi, che si terrebbe le mani libere per il dopo voto. Ma sino a quando non si conosceranno le regole con cui si giocherà la partita elettorale di primavera, nessuno potrà definire le strategie per affrontarle. E la confusione, nel frattempo, non potrà che aumentare.