La terza guerra mondiale è un argomento rischioso e molto delicato ma non è un allarme inutile o “apocalittico”: la situazione che vede la Siria e la Corea del Nord al centro delle tensioni internazionali, per motivi ovviamente diversi, ha visto questa mattina la possibilità di un ritorno al dialogo tra Usa e Corea del Nord dopo le parole clamorose dell’esperta negoziatore già in passato in mezzo ai rapporti Washington-Pyongyang. Ma la dimensione “globale” in queste tensioni non si può non tener conto dei rapporti difficili tra Trump e Putin, nonostante le ultime uscite siano decisamente più rassicuranti, o del “problema” Cina. Dopo le accuse arrivate dalla Casa Bianca contro alcuni accordi commerciali tra Pechino e Kim che violerebbe le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza Onu, oggi arriva la replica “piccata” del governo comunista: «e attuali sanzioni decise dal Consiglio di Sicurezza nei confronti della Corea del Nord non sono esclusivamente economiche, e che i normali scambi commerciali tra i due Paesi non violano quanto stabilito in sede Onu», spiega il portavoce del Ministero degli Esteri Cinese Geng Shuang.
Sono stati riportati i dati dei rapporti tra i due Paesi asiatici, a livello commerciale ovviamente: «nella prima metà di quest’anno il valore totale delle esportazioni della Cina verso la Corea del Nord è stato di 2,55 miliardi di dollari, con un aumento del 10,5% rispetto al 2016», riporta l’Amministrazione Generale delle Dogane, come riportato da China Radio International.
L’Italia entra in guerra. Anzi no. Insomma, forse. La giornata di ieri ha visto il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, affrontare i temi globali, dal rischio di terza guerra mondiale in Medioriente e in Corea del Nord, fino alle missioni all’esterno dell’esercito italiano. L’occasione è stata fornita con l’incontro-vertice con l’omologo Mattis dell’Amministrazione Usa, avvenuto ieri a Washington: «Abbiamo ragionato sulla presa di Mosul, da salutare con grande felicità, ma lascia sul campo una situazione umanitaria drammatica ed è fondamentale che quella città abbia adesso situazione di controllo dal punto di vista della stabilità», spiega la Pinotti in una intervista a Rai News24. Tanto in Iraq quanto in Siria, la lotta all’Isis nei prossimi mesi dovrà tramutarsi, qualora il nemico jihadista venga abbattuto almeno sul campo militare, nelle considerazioni delicatissime del post-guerra. Il doppio rischio di nuove guerre civili da un lato e di complessi se non disastrosi equilibri tra le varie potenze mondiali – Usa e Russia su tutti -, dall’altro, purtroppo è davvero dietro l’angolo. «In Siria il mandato Onu di sconfiggere il terrorismo esiste, ma la situazione politica è confusa, non tutti considerano il governo legittimo, e l’autorità locale non è riconosciuta. Questi paletti noi li manterremo. Per allargare la nostra azione bisognerà vedere se si chiarisce la questione politica in Siria, quali truppe addestrare, e su che base. Nell’ambito di una possibile chiarificazione delle condizioni, le forze in campo, e il percorso politico, potremmo valutare un contributo», sono le parole molto forti dette dal ministro della Difesa in una intervista con il collega della Stampa, Paolo Mastrolilli.
L’ipotesi di entrare in conflitto mondiale e delicatissimo come quello in Medioriente è ancora lontano, anche perché viene ovviamente seguita l’azione dell’Onu primariamente. Finora però la confusione ha regnato sovrana e il proliferare dell’Isis in Siria e Iraq ha portato i problemi che tutti hanno visto in questi anni. «Mattis ha ricordato che siamo il secondo contributore in Iraq. In questo ambito, senza modificare i numeri, possiamo immaginare rimodulazioni. Prima l’obiettivo principale era addestrare l’esercito; ora potremmo intensificare la missione dei Carabinieri per produrre numeri maggiori di polizia locale»: la Pinotti e il governo si sbilanciano, ora bisognerà vedere l’evolversi della situazione internazionale per capire quale e in che modo il ruolo dell’Italia sarà attivo e fattibile.
All’Onu fanno passare trattati contro le armi nucleari, gli Stati Uniti conducono un test di intercettazione a missili balistici. Come anticipavamo già ieri, le contromisure dei Paesi impegnati nei conflitti diplomatici mondiali vanno avanti a suon di missili balistici, testate nucleari, test andati a segno e “minacce” intentate contro il nemico. Trump ha deciso così di effettuare nuovi test in difesa e intercettazione da missili balistici che la Corea del Nord potrebbe lanciare da un momento all’altro. L’agenzia per la difesa Usa ha fatto sapere che per la 14esima volta consecutiva la prova è andata a buon fine: «l’intercettazione di un missile balistico a medio raggio con il sistema Thaad ha avuto buon fine», spiegano dal Pentagono. Il missile, lanciato dalle Hawaii è stato individuato e fermato in Alaska. Trump prende le misure, Kim Jong-un prosegue nella minaccia e l’Onu prova a capire come poter intervenire in maniera più incidente di quanto avvenuto fino ad ora.