La politica, si sa, è lo spazio del possibile, in cui tutto può accadere. Ci sono però annunci meno credibili di altri. A questa categoria appartiene quella del divorzio prossimo venturo dalla sua creatura amatissima, il Movimento 5 Stelle. E’ un déjà vu, e non si è concretizzata. Quindi d’istinto si finisce per classificarla sullo stesso scaffale di un Renzi che lascia la politica in caso di vittoria del no al referendum costituzionale, o di un Veltroni che annuncia il suo futuro impegno in Africa.
C’è soprattutto una considerazione che spinge a ritenere improbabile il passo indietro del comico genovese: la debolezza intrinseca della sua formazione politica. Una debolezza diventata visibile a tutti nelle amministrative di giugno, una débâcle per i pentastellati, nonostante nei sondaggi continuino a livello nazionale a contendere la palma di primo partito al Pd, con continui sorpassi e controsorpassi (virtuali).
Mai del tutto superata è sembrata la scomparsa del co-fondatore del Movimento, Gianroberto Casaleggio. E fu quel lutto — lo ha spiegato lo stesso Grillo — a imporgli il rientro ad appena tre mesi dal “passo di lato” annunciato nel gennaio 2016. Fallita poi nel giugno scorso la prova di maturità nella corsa ai municipi, i 5 Stelle sono attesi dagli esami di riparazione in autunno. La data cerchiata in rosso è quella del 5 novembre, quando si voterà in Sicilia per scegliere il successore di Rosario Crocetta. Qui i grillini partono favoriti, e un fallimento avrebbe conseguenze politiche molto pesanti.
Si badi bene alla sequenza temporale: i rumors sul ritiro di Grillo situano l’annuncio alla fine di settembre, in un mega raduno ancora in cerca di collocazione, visto che la sede originariamente scelta, Bologna, presenta problemi seri di concomitanza con altre manifestazioni. Plausibile che Grillo si faccia da parte a quaranta giorni dalla sfida decisiva? Riesce difficile crederlo. Riesce più facile immaginare che l’ipotesi di rimanere orfani del proprio guru e fondatore induca i rissosi pentastellati a serrare le fila. E in questo caso si tratterebbe di un furba mossa comunicativa: fidiamoci di Beppe, pur di non rimanere orfani.
Del resto, oggi a Grillo non ci sono alternative. Il figlio di Casaleggio, Davide, non sembra avere lo stesso ascendente del padre sui militanti, anche se forse è più determinato nel perseguire la costruzione di una democrazia diretta per via virtuale, attraverso l’implementazione della piattaforma internet “Rousseau”, che pare destinata a soppiantare presto le votazioni attraverso il blog di Grillo. E il vuoto di leadership non sembra poter essere riempito facilmente dai vertici politici del Movimento. Non dalle sindache, in sempre maggiore affanno (non solo la romana Raggi, ma da alcune settimane anche la torinese Appendino). E neppure dal candidato premier predestinato, Luigi Di Maio, che passa di gaffe in gaffe, ultima in ordine di tempo la clamorosa smentita venuta dall’ambasciata francese in merito ad un presunto interessamento del vicepresidente della Camera affinché Parigi soccorresse il sud che brucia con i propri Canadair antincendio.
Questa carenza di leadership si traduce in una linea politica incerta in parlamento. Si è visto su molti temi, dall’immigrazione all’Europa, ma soprattutto sulla legge elettorale, quando i 5 Stelle si sono sfilati da un accordo per loro vantaggioso per contestare una norma tutto sommato marginale, quella sul meccanismo elettorale riservato al Trentino Alto Adige. Se l’avessero digerita, avrebbero portato a casa una legge favorevole, non fosse altro perché non conteneva alcun incentivo a formare coalizioni prima del voto. Un punto fondamentale per sperare di vincere, vista l’indisponibilità ad alleanze, confermata anche da un recente sondaggio, secondo cui quasi il 70 per cento dell’elettorato grillino è contrario ad accordi post elettorali per andare al governo. Numeri che allontanano l’ipotesi di un esecutivo pentastellato, sostenuto da Lega e Fratelli d’Italia.
Tutti questi ragionamenti non fanno altro che confermare l’improbabilità del ritiro di Grillo, ma aprono il campo a due quesiti che per ora sono destinati a rimanere senza risposta.
La prima domanda da porsi è se davvero il Movimento 5 Stelle stia correndo per vincere le elezioni, e governare, oppure se non preferisca far di tutto per trovarsi da solo (o quasi) all’opposizione di un esecutivo di più o meno larghe intese.
La seconda è se per vincere qualcuno dalle parti della Casaleggio e Associati non stia pensando a un “papa straniero”. Dove trovarlo? Probabilmente fra le fila di alcuni settori della magistratura, insofferenti in questa fase politica. Lo lasciano supporre alcune recenti dichiarazioni del pm antimafia Nino Di Matteo, che non esclude il proprio impegno in politica. Ma ancora maggiori assonanze vi sono fra il Movimento e l’ex pm di Mani Pulite, Pier Camillo Davigo, che di recente ha partecipato anche a un convegno promosso dai 5 Stelle alla Camera. Solo indizi, per ora. Se son rose, fioriranno.