“Ascolto tutti ma non mi ferma nessuno”. La frase l’ha pronunciata ieri il segretario del Pd, Matteo Renzi. Sono parole che starebbero meglio in bocca a un ubriaco prima dello schianto fatale lungo un tratto autostradale imboccato contromano. Sono il modo renziano di intimidire la sinistra “cachemire ed apericena” di Giuliano Pisapia. Quella che ritiene che i gigli magici profumino di berlusconismo. Quella che sogna il ritorno dei Verdi e prova ribrezzo per i Verdini. Quella per cui Alfano è segretario non di un partito ma il datato segretario-maggiordomo dell’uomo di Arcore. Quella che si è pentita di aver voluto cambiare la Costituzione e chiama questo ripensamento dettato da ragioni di bottega, amore della democrazia.
Bene ha fatto Fausto Bertinotti a stigmatizzare che entrambi i blocchi con la sinistra hanno poco a che fare. D’Alema e Renzi sanno troppo di banca d’affari ambedue piuttosto che di rancio, fureria e popolo.
La sinistra italiana è stata sacrificata da tempo sull’altare di Repubblica e vagheggia di iperbolici diritti praticando più convenienti egoismi.
Forse la vera differenza tra l’uno e gli altri è che i pisapian-dalemiani tutto questo intendono farlo “insieme”, ma rigorosamente distanti per ragioni di Dna dal ceto che puzza e suda. Come a Capalbio si è plasticamente dato voce all’accoglienza dei migranti ma a ranghi ridottissimi per non turbare la stagione turistica, così nella Milano di Sala e Pisapia si è di “gauche” ma con pochi amici e buona musica. E comunque mai con atteggiamenti fascistelli da gerarca di Rignano sull’Arno.
Matteo intanto si trascina tra estenuanti monologhi su Facebook per riproporre i poco credibili risultati del suo governo ed improbabili riflessioni sul senso della vita che appaiono più dettate da bulimia “presentista” che non piuttosto da sincera esigenza di giudicare ciò che accade.
E mentre il primo luglio la sinistra italiana o quello che ne resta lo trascorreva rimpallandosi colpe storiche e messaggi da bassifondi napoletani, a Strasburgo andava in scena la politica con la P maiuscola perché in Parlamento europeo si celebrava un gigante: Helmut Kohl, l’uomo che ha voluto la Germania una ed europea. E che ha rifuggito la tentazione di una Europa tedesca.
Tra i presenti tanti che non lo hanno capito: Sarkozy e Merkel in primis. E poi Berlusconi e Prodi. Avversari acerrimi e con background sicuramente popolare. Che in quel contesto così solenne è così distante dalle piccinerie delle comparse nostrane debbono aver pensato che forse in Italia c’è ancora bisogno di loro…