La polemica innescata dal presidente dell’Inps sull’esodo fiscale dei pensionati risuona di populismo a orologeria elettorale, benché modulato in tonalità tecnocratiche. Non è un caso che a Boeri subito fatto eco il neo-vicedirettore di Repubblica, a suo tempo co-autore del bestseller antipolitico La casta. Sergio Rizzo non ha avuto timore di scomunicare come “furbetti” i suoi colleghi giornalisti pensionati che hanno scelto di vivere in Portogallo: anche quando riconosce che è un’opportunità perfettamente legale (cioè conforme alla legge italiana), consentita da un Paese dell’Unione europea.



Rizzo più di Boeri non sembra comunque preoccupato di confondere le cause con gli effetti. Cosa spinge un pensionato italiano (dell’Inps o di una cassa professionale come quella dei giornalisti) a risiedere per almeno sei mesi all’anno a Lisbona oppure a Malta, Cipro, in Bulgaria o in Romania, infine negli Usa, in Costa Rica, nella classica Svizzera? La volontà para-criminogena di eludere il fisco, di tradire il proprio Paese, eccetera? No, lo muove la ricerca di un carico fiscale inferiore a quello italiano: fino allo zero iperincentivante offerto per dieci anni dal Portogallo ai pensionati di tutti gli altri paesi Ue. 



Un pensionato italiano può vedere quasi “raddoppiato” il suo reddito disponibile fuori Italia perché la pressione fiscale in Italia nel ventunesimo secolo non è mai calata sotto il 40%. Si è spinta fino al 44% nel periodo di massima austerità, ma anche nel 2017 è prevista al 42,6% e non è destinata a scendere neppure l’anno prossimo. La media corrente dei Paesi Ue è poco sopra il 39%: al top c’è la Francia, dove tuttavia la qualità della spesa pubblica in servizi è nettamente superiore (ed Emmanuel Macron sta comunque pensando a rapidi e incisivi alleggerimenti). E un contribuente tedesco – nel 2015 – ha pagato 1.700 euro in meno in media di uno italiano.



Chi è il “furbo” fra il pensionato italiano che cerca di sottrarsi a prelievi che rasentano la patrimoniale permanente e un’amministrazione fiscale che sempre più spesso gli nega o ritarda arbitrariamente l’iscrizione al registro dei residenti fiscali all’estero (Aire)? Perché per un pensionato italiano il servizio sanitario a pagamento privato in Portogallo è alla fine competitivo con quello a pagamento fiscale obbligatorio in Italia? Perché un giornalista che ha costruito la sua fortuna editoriale mettendo alla berlina parassiti di ogni risma (anche se non tutti) assimila i pensionati in trasferta ai diecimila esportatori di capitali di cui solo nel 2017 la Guardia di finanza sta cercando nomi e milion presso il Credit Suisse? E perché un economista ideologicamente globalista scopre e denuncia gli effetti collaterali della libera circolazione di persone e quattrini solo quando il governo di centrosinistra gli affida la poltronissima dell’Inps?

Su un punto il Boeri presidente dell’Inps ha ragione, ma non diversamente dai suoi predecessori o da tutti coloro che negli ultimi cinquant’anni hanno maneggiato la previdenza pubblica: l’Inps dovrebbe occuparsi solo delle pensioni degli italiani (e non è affatto scorretto su questo piano porre la questione del gettito contributivo prospettico da parte dei “nuovi italiani”). Non dovrebbe invece occuparsi di assistenza, come invece è obbligato a fare anche l’Inpgi. Il quale non eroga solo le pensioni ai giornalisti residenti in Italia o in Portogallo, ma paga anche la cassa integrazione a centinaia di giornalisti non pensionati di grandi gruppi editoriali.