Lo ha detto Renzi: “per il governo non cambia niente”. E forse Gentiloni si è davvero preoccupato, altro che le dimissioni dell’ex ministro Costa. Lo ius soli è una priorità, ma stiamo con Gentiloni: un endorsement così smaccato da alimentare perfino qualche sospetto su quello che l’ex premier potrebbe nuovamente inventarsi per andare “Avanti” e tornare a Palazzo Chigi. Ma dopo il referendum del 4 dicembre — il dettaglio più indigeribile di tutta la narrazione renziana — nulla è più come prima. Nemmeno l’Italia, alle prese con una crisi migratoria e con una legge di bilancio destinate a segnare una svolta nel paese. “Ringraziamo la crisi dei partiti, se siamo così deboli” spiega il politologo Gianfranco Pasquino.
Potenza dello ius soli: Enrico Costa lo ha usato per dire addio al governo. Gentiloni per affrancarsi politicamente da Renzi. Cos’altro?
Gentiloni ha preso atto che lo ius soli è una argomento che riguarda il paese, non solo un partito come il Pd, e che per questo richiede una soluzione nazionale. In modo coerente si è sganciato da chi voleva una soluzione partigiana.
Violante propone a Renzi di candidare Gentiloni premier.
Figuriamoci. Per Renzi l’unico possibile capo del governo è lui medesimo. Anzi, prima o poi troverà il modo di dire che Gentiloni è stato inadempiente rispetto ad una serie di problemi da affrontare. Soprattutto gli rimprovererà di non essere stato abbastanza incisivo sulla scena europea e di avere accettato i diktat di Bruxelles. A quel punto arriverà la resa dei conti.
In termini di consenso Gentiloni stacca Renzi di dieci punti. L’ex premier dovrà fare i conti con questo dato di realtà.
Difficile: il segretario del Pd non fa i conti con la realtà ma solo con se stesso. E poi c’è un altro fattore importante: a fare da mattatore in campagna elettorale sarà Renzi, non Gentiloni. Infine c’è l’incognita rappresentata dal parlamento, dove è impossibile dire ora che cosa potrà accadere. Ma c’è un però.
E sarebbe?
A un condizione Renzi potrebbe essere costretto obtorto collo a candidare Gentiloni a Palazzo Chigi: se nel nuovo parlamento ci fossero dei numeri tali che solo con Gentiloni il Pd potrebbe guidare il prossimo governo.
Ci spieghi, professore.
Prima del voto non c’è bisogno di candidare nessuno, a meno che il segretario non intenda fare la solita campagna personalizzata. Dopo il voto tutto può succedere. Ci potrebbe essere una situazione nella quale coloro che hanno in mano i numeri della maggioranza parlamentare dicono a Mattarella che quella maggioranza può essere guidata meglio da Gentiloni che da Renzi. Anzi, che se fosse Renzi a guidarla, a quel punto quella maggioranza verrebbe meno.
La sinistra non trova una guida. Pisapia non si candida, in tanti vorrebbero riaggregare l’area ma non ci riescono. Che cosa succede da quelle parti?
Succede che nessuno ha le idee chiare. Chi parte dicendo di voler costruire il campo progressista, come ha detto Pisapia, non può dire nel bel mezzo dell’operazione che non fa più il leader. Questo è un grande errore politico.
Prodi?
Mi pare fuori gioco per ragioni di età e ha già fatto quello che doveva fare.
D’Alema?
Uno come D’Alema non può fare il deputato qualsiasi. E un leader, se si candida è un problema per tutti.
Vie d’uscita?
Fare le primarie di Campo progressista. Primarie vere. Servirebbero anche per mobilitare l’elettorato potenziale.
E’ in atto un flusso migratorio verso Forza Italia. In tanti ritornano al primo amore.
Forza Italia è in crescita e tutti coloro che tornano indietro son uomini saggi. Non mi sentirà criticarli, anche se vorrebbe che lo facessi. Sono saggi perché il partitino di Alfano è un ectoplasma e con una soglia ipotetica del 5 per cento chi rimane in Ap non rientra in parlamento. E quindi fanno bene a tornare da Berlusconi.
Eletti con Forza Italia, hanno sostenuto il governo Renzi prima e Gentiloni poi. E ora tornano a casa. Non c’è male.
Lasci perdere. Vogliono proseguire la loro carriera parlamentare? Allora devono fare questa operazione. Se non la fanno, spariscono.
Lei così legittima il trasformismo.
No, perché la mia ricetta l’ho già detta più volte. Si vuole eliminare questo problema? Si facciano i collegi uninominali, dove sono gli elettori a promuovere o a bocciare chi ha cambiato casacca. Ma con una legge elettorale che consentirà ancora ai leader dei partiti di nominare i parlamentari, questi si muovono di conseguenza. E fanno benissimo.
E’ fuori dalla realtà ipotizzare una riabilitazione politica di Berlusconi, in cui l’ex premier, pur non potendo essere eletto in Parlamento, guida il governo?
Oggi tutti i leader che contano sono extraparlamentari. No, non è fuori dalla realtà. Però c’è il rovescio della medaglia: quello che è importante per una parte di elettorato è che Berlusconi possa effettivamente essere eletto. In ogni caso, eletto o no, giocherà un ruolo politico, questo è fuor di dubbio.
Una domanda sul nostro equilibrio politico-istituzionale e sulla fase che stiamo attraversando. Chi comanda adesso in Italia?
Aderendo alla Nato e alle varie istituzioni europee abbiamo consapevolmente ceduto una parte di sovranità nazionale. Si badi, non l’abbiamo smarrita da qualche parte, l’abbiamo ceduta aderendo a dei trattati internazionali come prevede l’articolo 11 della Costituzione. Il problema è che non siamo capaci di esercitare quel po’ di sovranità che ci è rimasta. Non facciamo le cose giuste nei tempi giusti e nei modi giusti.
E questo dipende da noi.
Da lei e da me non tanto. Dipende da quelli che hanno il potere politico. Che non sanno usarlo come dovrebbero, che non sanno trattare con l’Europa, che non sanno mobilitare l’elettorato intorno ai temi importanti. Chi comanda, lei chiede. Una parte di ordini li prendiamo dalla commissione europea. Il resto lo fa chi ha il potere politico. Come il presidente della repubblica, per esempio, il cui potere non si limita affatto alla moral suasion ed è più grande di quanto appare. Anzi, proprio per questo magari lo sta già esercitando. Però non lo sappiamo.
La gente non va più a votare. Che cosa ci sta succedendo?
Siamo una democrazia di bassa qualità. Si sono indeboliti i partiti, questo è il problema. Avverto dei rumors per cui il Pd farà a meno della P e vorrebbe chiamarsi “i democratici”…. le democrazie sono un inestricabile rapporto di istituzioni e partiti. Ma se i partiti si indeboliscono e vanno in crisi, diviene debole anche la democrazia.
(Federico Ferraù)