La notizia chiave del fine settimana politico è il sondaggio IPSOS per il Corriere della Sera, che fornisce un’autorevole conferma di una tendenza già in atto, la riscossa del centrodestra (che non c’è). Sì è visto nelle amministrative di giugno, poi il trend si è consolidato: sulla carta oggi sommando le tre maggiori formazioni politiche dell’area moderata si supera il 35% dei consensi. Nettamente di più rispetto a PD e 5 Stelle, entrambe in evidente affanno e stimate intorno al 27%. Peccato che questa supremazia sia assolutamente teorica, viste le perduranti distanze fra Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia. E vista anche l’incertezza delle regole elettorali. E’ comunque impressionante che Berlusconi abbia ritrovato centralità rimanendo assolutamente immobile, mentre intorno leader con la metà dei suoi anni (o anche meno) si agitano in modo scomposto.



Comunque evolveranno le cose nei prossimi mesi, tutti dovranno fare i conti con lui. Il primo sarà Salvini, che tenta – sinora invano – di strappargli la leadership del centrodestra. E la sensazione è che vi riuscirà solo se la sua Lega riuscirà ad avere più voti di Forza Italia, situazione tutt’altro che scontata, visto che è bastato che il vecchio Cavaliere riprendesse a fare politica perché lo svantaggio virtuale degli azzurri venisse annullato nel giro di poche settimane. Oggi, infatti, Lega e Forza Italia valgono nei sondaggi praticamente la stessa cifra. Il Cavaliere di nuovo attivo sulla scena ha provocato lo sfaldamento da Alternativa Popolare, fra le cui fila è scattato il “si salvi chi può”.



Esemplari i casi di Enrico Costa e Massimo Cassano, un ministro e un sottosegretario che si dimettono per tornare nel centrodestra. E la loro uscita consegna di fatto al leader di Forza Italia le chiavi della sopravvivenza del governo Gentiloni al Senato: la sensazione è che fra transfughi già fuggiti e altri pronti a farlo, oggi Berlusconi potrebbe fare cadere l’esecutivo con uno schiocco di dita. Forza Italia non appare però interessata all’apertura di una crisi adesso: serve tempo per preparare la sfida elettorale. Per ora i transfughi dall’area alfaniana verranno fatti accomodare su una zattera, che rischia di affollarsi quasi quanto i barconi della speranza che solcano le acque del Mediterraneo: una fuga disperata verso una flebile speranza di rielezione.



La sfida decisiva per l’assetto del centrodestra, come per l’intera politica italiana si giocherà a settembre intorno alla legge elettorale. Lo ha capito anche Renzi, che ha manifestato cauti segnali di disponibilità a tornare a sedersi al tavolo della trattativa. Ha detto che serve l’accordo di Berlusconi e Grillo, ma ha mandato avanti il suo vice Martina a sbarrare la strada al premio di coalizione, meccanismo che oggi sembra troppo favorevole al centrodestra, che vi troverebbe il collante che oggi manca per rimettersi insieme.

Se la legge manterrà l’impianto proporzionale, come è probabile, mancherà la spinta a riunire le tre anime dei moderati: è una regolarità della politica italiana che liste congiunte prendono meno voti dei singoli partiti. Meglio correre ciascuno per sé, puntando sulle diverse identità. Berlusconi potrebbe non dispiacersi troppo dello scenario, perché potrebbe tenersi in questo modo le mani libere per il dopo, per un possibile governo di larghe intese, in cui Salvini (e Meloni) non entrerebbero di sicuro. Non va dimenticato che Berlusconi si trova in una condizione di non candidabilità, e probabilmente vi resterà sino al momento del voto. E nonostante questo non sembra intenzionato a nominare un delfino, a meno che non sia assolutamente sicuro della vittoria del centrodestra. In quel caso, piuttosto che i Toti, i Maroni o gli Zaia, la carta coperta potrebbe essere quella della figlia Marina. Una donna, e per di più una Berlusconi. Ma un asso da calare solo a colpo sicuro.

La disponibilità di Renzi, come pure dei 5 Stelle a tornare a confrontarsi sulla legge elettorale fa seguito all’ennesimo richiamo istituzionale, venuto stavolta dal presidente del Senato Grasso, che alla cerimonia del Ventaglio con i giornalisti parlamentari ha detto che due sentenze della Consulta non fanno una legge, perché troppi sono i punti di contrasto fra le regole oggi in vigore per le due Camere. Una situazione schizofrenica, che imporrebbe ai partiti strategie differenti, difficili da spiegare agli elettori.

Grasso si è mosso ancora una volta all’unisono con Mattarella, che ha più volte richiamato i partiti su questo terreno. Un presidente della Repubblica discreto, ma determinante: è il suo ombrello che protegge Gentiloni dal fuoco, sia esso amico (vedi caso ius soli), o nemico. Il suo è un “governo del presidente” a pieno titolo, anche se la cosa traspare meno che in altre occasioni (Ciampi, Dini o Monti). Dal Quirinale la linea è tracciata: Gentiloni deve fare la legge di bilancio, mentre i partiti risolvono il garbuglio elettorale. Solo allora l’arbitro fischierà la fine della partita della più complicata legislatura della storia repubblicana. Anselmo Del Duca