Sempre più si allunga sulla scena politica italiana l’ombra di una sinistra extraparlamentare che però non è estremista. E’ la sinistra “sistema di potere”. Si tratta di personalità che vivono come un incubo la prospettiva di avere tra sette-otto mesi Silvio Berlusconi sopra la testa. Sotto accusa è quindi Matteo Renzi che è pronto al voto anche senza nuova legge elettorale nella convinzione che comunque sarà il Pd come primo partito di governo a esprimere il premier, con alleanze che dipenderanno dal risultato e senza pregiudiziali verso Berlusconi.



Che Renzi non sia disponibile a impegnarsi in coalizioni che comportino la sua rinuncia a Palazzo Chigi è evidente anche dalla lettura del suo libro: un monologo imperniato sulle Grandi Cose che ha fatto e che farà come presidente del Consiglio. Lo status di segretario al Nazareno in quelle pagine è vissuto come una sorta di esilio. Anche senza la nuova Costituzione per Renzi è comunque “la stanza dei bottoni” il centro del potere politico. E’ lì che si torna a far parte del “club” dei Grandi, delle celebrità che contano. Come e con chi è secondario.



Da qui, mentre Silvio Berlusconi e il centro-destra riemergono, la discesa in campo prima di Giuliano Pisapia e poi di Romano Prodi, con l’obiettivo — all’inizio — di convincere Renzi a uscire dall’isolamento e — se Renzi non accetta — di creare le condizioni per una coalizione di sinistra post-renziana in vista delle elezioni del 2018. La resa dei conti è tra fine ottobre e inizio novembre, tra referendum leghista in Lombardia e Veneto e elezioni in Sicilia.

Ma se Renzi ha commesso l’errore della “personalizzazione” del referendum del 4 dicembre, questi suoi critici e oppositori commettono l’errore di “personalizzare” la perdita di consenso della sinistra nel Paese. Da qui un dibattito un po’ surreale sull'”odio” o l'”antipatia” che susciterebbe Renzi, senza tener conto delle motivazioni economiche e sociali dell’elettorato.



Che Renzi talvolta sbagli è indubbio. Per la prima volta, ad esempio, nella Commissione europea non c’è nessuno a difendere l’Italia. Ancora ultimamente tutta la sua corsa a elezioni anticipate si è conclusa nel modo più infelice: queste non ci sono, il Pd ha avuto una scissione, molti parlamentari tornano a destra (regalando a Berlusconi il ruolo di arbitro della sopravvivenza delle Camere agli occhi di Mattarella).

Anche nell’impostazione della campagna elettorale Renzi sembra un po’ disordinato. Era partito lanciando il Pd in contrapposizione al populismo antieuropeista, ma ora, avvitandosi sullo ius soli (che in tutti i sondaggi vede contraria la maggioranza degli italiani), va verso una campagna elettorale incentrata sull’immigrazione con antieuropeisti ed europeisti insieme: leghisti e grillini spalleggiati dalle rampogne di Bruxelles e di Macron. 

Anche il modo in cui Renzi ha rotto con Alfano è imprudente. Non solo perché ha spinto i centristi — nel Parlamento e soprattutto nelle realtà locali (dove hanno i voti) — a tornare da Berlusconi, ma perché Alfano è agli occhi dell’elettorato il ministro degli Interni che ha gestito in questi anni l’immigrazione per Renzi. Nel momento in cui Renzi arriva alla derisione personale è come se dichiarasse di aver affidato consapevolmente la principale emergenza nazionale a un ministro inadeguato.

Ma la personalizzazione su Renzi è una sostanziale mistificazione. Le fragilità della sinistra hanno altra origine. Quel che scotta maggiormente è la situazione economica attuale. La crisi è in via di superamento, ma non è un ritorno al 2008. Si tratta ora di procedere alla constatazione dei danni: perdita di competitività nell’apparato produttivo e impoverimento sociale. 

Quel che l’intellettualità di sinistra chiama sprezzantemente la “pancia” del Paese sono gli strati che vivono uno stato di retrocessione che si sta cristallizzando come irreversibile. L’accoglienza dei clandestini come le unioni civili sono tutte belle priorità, ma è controproducente non inquadrarle in una politica di contrasto al declassamento di fasce importanti della popolazione per cui il “reddito di cittadinanza” non rappresenta una via d’uscita. 

Non si tratta di Renzi simpatico o meno, ma del fatto, ad esempio, che il presidente messo dal Pd all’Inps continua a esaltare la positività dei migranti e la negatività degli italiani con più di 65 anni. Con evidenti conseguenze elettorali. Sempre più emerge che la sinistra “sistema di potere” punta sui migranti come mano d’opera a basso costo e ha come soluzione: lavorare di più e vivere di meno. Ovvero: innalzare l’età pensionabile e tagliare le spese sanitarie per la prevenzione. Infatti la media dell’attesa di vita in Italia, per la prima volta, non cresce più, ma sta già tornando indietro verso gli 80 e si moltiplicano le campagne mediatiche contro la sanità che “cura” i sani. Certo eravamo abituati a pensare che l’Inps provvedesse dai 65 agli 85 anni, se invece ci si limita ai 73-79 anni i conti tornano. Non c’è bisogno di un professore della Bocconi per arrivarci; non è da stupirsi però se “la pancia” vota centro-destra.