Gentiloni completamente assorbito dall’emergenza migranti, Renzi impegnato a tenere a bada i malumori interni al Pd. E a dettare le scadenze del governo, dal decreto legge per il salvataggio delle banche venete allo ius soli. Sull’emergenza migranti Stefano Folli, editorialista di Repubblica, è pessimista: “penso che le cose non cambieranno molto e che l’Italia rimarrà sola”. Sul resto, vede l’aggravarsi della contraddizione che tiene in ostaggio il primo partito italiano e che rischia di ripercuotersi sull’intero sistema.
Renzi ha fissato dei paletti al governo, dal decreto banche allo ius soli. E’ una scelta accorta?
Sul decreto banche non vedo grandi problemi e credo che passerà. Sullo ius soli si vuol dare l’impressione di difenderlo per una questione di principi, ma poi nei fatti non mi sorprenderei se si trovasse un pretesto per rinviarlo a settembre-ottobre.
Renzi ha in pugno la direzione del Pd, però Franceschini e Orlando sono sempre più critici.
Vincerà la prudenza, diversamente si consegnerebbero tutti a due mesi di polemiche estive, quando la politica sarà sospesa e a farla saranno i giornali. Conviene a tutti sospendere le ostilità.
Che non vuol dire avere sciolto i nodi.
Tutt’altro. La questione di fondo è quella delle alleanze. Franceschini auspica un Pd che vada in Parlamento e rimetta mano al sistema elettorale, proponendo un premio di coalizione e riuscendo ad imporsi sulle resistenze che ci possono essere in altri partiti.
Ma c’è questa volontà?
Sicuramente non c’è da parte di Renzi. Quindi il problema delle alleanze non si pone perché non c’è la volontà di farle. E infatti Renzi non propone alleanze, ma annessioni: Pisapia vuole correre con il Pd? Per lui e per qualcuno dei suoi amici il posto c’è, per gli scissionisti no.
Perché si ostina a volere il Pd da solo?
Renzi ragiona come se fossimo in un sistema maggioritario, quando invece siamo già in un sistema proporzionale, con una legge elettorale che manca, ma che in realtà c’è, ed è quella consegnata dalle due sentenze della Consulta (1/2014 e 35/2017, ndr). E a mio avviso si voterà con quella.
Renzi però vorrebbe il maggioritario. Non farà nulla per ottenerlo?
Per ripartire da capo ci vorrebbe una volontà politica feroce. L’accordo sul sistema tedesco è saltato su un pretesto, una stupidaggine che poteva essere tranquillamente appianata nel prosieguo dell’iter parlamentare. Ma che cosa non reggeva? Il sospetto, o l’accusa esplicita, che dietro l’accordo sulla legge elettorale ci fosse un accordo per il governo della legislatura.
E a settembre il rischio di essere accusati di volere l’inciucio sarà ancora più forte.
Sì, perché la legislatura sarà finita e le forze politiche saranno ansiose di contarsi. Per questo Renzi intende lasciare le cose come stanno. Si voterà con le leggi proporzionali della Consulta e il segretario del Pd spera di arrivare al 40 per cento.
Il famoso 40 per cento del referendum costituzionale.
E’ questo è il problema di fondo. Renzi non si rassegna a fare un’analisi critica del perché ha perso il referendum in quel modo. La vera ferita è questa, e tutto quello che sta succedendo oggi è una conseguenza di quel dato referendario. Non sapendo perché ha perso, ha cercato di convincere se stesso che in realtà aveva vinto perché aveva dalla sua i Sì al referendum.
Quali sono le conseguenze di questa illusione ottica?
Un’enorme contraddizione: un leader che ha fondato tutto sulla propria leadership personale e che ha in pugno il Pd, ma che al tempo stesso è in grave difficoltà nel paese, a livello di immagine e di credibilità. E prima o poi questa contraddizione esploderà.
Cosa dovrebbe fare Renzi?
Un grande gesto politico: dire che non si ricandida a Palazzo Chigi e che Gentiloni ha tutte le carte per continuare a fare il premier con il suo appoggio, non solo, ma anche per fare un governo di larghe intese con Berlusconi.
Addirittura.
In questo modo pacificherebbe il partito e avrebbe modo di fare una campagna elettorale più serena, meno legata all’accusa di essere soltanto uno che persegue il proprio potere personale. Sarebbe tutto più facile, perché rinuncerebbe a qualcosa che non ha: la possibilità di tornare realmente a Palazzo Chigi.
Perché ricorrere a Gentiloni? Tanto varrebbe che l’accordo lo facesse Renzi per sé.
Il Pd non sarebbe in grado di reggere un accordo di legislatura con Berlusconi gestito dal suo segretario-leader. Se invece lo facesse Gentiloni, sarebbe un accordo parlamentare imposto dalle circostanze, senza le polemiche esplosive che segnerebbero il primo. Ma Renzi non farà quel gesto, sono sicuro che non lo farà.
(Federico Ferraù)