Sondaggi alla mano, parlare di parabola discendente per il movimento grillino appare un azzardo al limite dell’irrazionale. Eppure qualcosa si avverte nell’aria.
Innanzitutto sfatiamo un mito: il popolo a 5 Stelle non esiste (i blogger rappresentano semplicemente una comunità virtuale), ma soprattutto, a non esistere è una cassaforte elettorale pentastellata certa: un bacino — per meglio dire — di consenso socialmente individuabile, ideologicamente consolidato e culturalmente riconoscibile.
Del resto una realtà politica fondata sull’onda del risentimento popolare, su di un vaffa corale, sull’avversione ad un sistema inefficiente, burocratico e perciò stesso corruttivo e corrotto è per sua stessa natura scritta sull’acqua e quindi esposta agli umori più radicali e controversi da rischiare costantemente l’eliminazione.
Ecco il problema, l’acqua dove far galleggiare la papera!
Il dato amministrativo (sebbene parziale e locale) trasuda una chiara morale: quando il centrodestra fa sul serio concedendosi un minimo di credibilità e, sull’altro versante, il popolo della sinistra-sinistra intravede un possibile nuovo lido, il movimento si svuota. Votarlo perde di senso.
E in casa grillina questo campanello d’allarme sembra essere risuonato tanto forte e chiaro da consigliare l’impegno in prima persona dei leader. Così, dopo l’amaro realistico avvertimento lanciato dal fondatore: “qui si fa l’Italia o si muore”, è sceso in campo persino l’abbottonatissimo ed attentissimo Casaleggio Jr, per suggerire a “lor signore” (Raggi e Lombardi “amiche” per la pelle) che la ricreazione è finita e non sono ammessi scherzi.
In fondo a gonfiare le vele di M5s in questi anni sono stati, per un verso, il voto della classe produttiva, quella delle partite Iva (Pmi, commercianti, artigiani) che, da destra e con tante speranze, nel 1994 fermò la trionfante macchina da guerra per poi ritrovarsi “strangolata” dalla crisi e profondamente delusa dalle tante promesse mancate. Ma anche, e per altro verso, dall’elettorato della sinistra girontondina dal cachemire facile (quella a cui piace dire no perché non ha bisogno di niente), unitamente al risentimento della “gente de’ borgata” per anni sfruttata e poi disconosciuta.
Insomma un elettorato (sebbene imponente e diffuso) estremamente composito e del tutto posticcio che — e qui sta la novità ed il problema a 5 Stelle — sembra sempre più attratta dai propri rispettivi campi: a destra per il ritorno in grande stile del Cav (rinfrancato dal buon bottino racimolato dalla vendita del Milan) e a sinistra (alla sinistra del Pd, in Italia una sinistra sola non è mai bastata) per la nuova “cosa rossa” di Pisapia & co.
“Richiami della foresta” che sembrano delineare sull’orizzonte della politica nazionale una nuova “normalizzazione”, con una destra democraticamente lepeniana, culturalmente inadeguata per la guida del governo al tempo della complessità, una sinistra marcatamente di lotta (ma allergica al governo), ben fiera di riconquistare la storica funzione di opposizione ed un centro bifronte: liberale (sul versante FI) e progressista (sul versante Pd) costretto all’imbarazzo dal ventennio bipolare.
Un nuovo tripolarismo de facto “rosso, bianco e verde(-nero)” a cui si contrappone un unico grande e poderoso movimento di protesta, quello del “non voto” che sembra aver ripudiato persino la piazza grillina per rifugiarsi nell’assordante silenzio dell’indifferenza, del disinteresse più profondo per rimarcare che, alla prova dei fatti, “tutti i gatti”, anche quelli con 5 Stelle, si sono dimostrati “bigi”.
E senza spazio politico, la papera non galleggia!