Sergio Marchionne, Carlo Calenda, Mario Draghi. Che cosa li accomuna? Un manager che non sopporta la politica ma è riuscito a rimettere in carreggiata un colosso come la Fiat, un manager che a fianco di Luca di Montezemolo ha conosciuto alti e bassi professionali ma dopo essere passato alla politica è diventato ministro, un alto funzionario prima dello Stato italiano e poi dell’Europa unita. In apparenza, non c’è nulla che li tenga assieme. In realtà sì. Sono i personaggi che Silvio Berlusconi vedrebbe bene alla guida del Paese, i tre nomi che il leader di Forza Italia alterna da qualche tempo nella speranza che smuovano qualcosa nei sondaggi. 



Nelle ultime ore alla terna si è aggiunto un quarto nome, di gentil donzella, quello di Emma Marcegaglia. Non manager ma imprenditrice, ex numero uno di Confindustria (prima donna a ricoprire la carica), da tre anni presidente dell’Eni (di nomina renziana), qualche problemino di conflitto d’interessi tra attività istituzionale e imprenditoriale. Ma ormai si sa, quando c’è di mezzo Berlusconi si sorvola su temi di questo tipo.



Il Cavaliere spiega che trattasi fondamentalmente di cercare personalità che abbiano fatto come lui, cioè operato nel mondo dell’impresa, creato lavoro e benessere, coltivato passione per la li-ber-tà. Non politici di professione, anzi gente pronta a garantire che tornerà alla vita di prima. Lo disse anche Berlusconi, e sappiamo com’è andata. Gente che abbia dimostrato di quale pasta è fatta nel mondo del lavoro, delle professioni, dell’impresa. Marchionne sarebbe l’ideale, ha detto Silvio con i direttori di Libero e del Tempo. Un grande professionista, senza dubbio, ma con la residenza in Svizzera e la Fiat trasformata in una multinazionale con sede lontano dall’Italia.



Al di là dei singoli curriculum, il fatto è che Berlusconi per il futuro del centrodestra non ha di sicuro in mente uno come Matteo Salvini o una come Giorgia Meloni, ma nemmeno il vincitore delle ultime amministrative, il “pontiere” azzurro Giovanni Toti, e men che meno qualcuno della vecchia guardia. I pretoriani di Silvio (Romani, Brunetta & co.) si preoccupano di coprirgli le spalle ma per lui nessuno di loro è degno di ricevere in eredità il centrodestra.

Il problema di Berlusconi sembra un altro. Non la gestione della coalizione che ha contribuito a costruire anni fa, e che molti elettori dimostrano di rimpiangere. Ma una figura che faccia da ponte con Matteo Renzi. Marchionne ha ripetuto più volte che Renzi gli piace ed è il modello di politico cui riferirsi per i prossimi anni. Calenda era il braccio destro di Montezemolo e con Renzi è entrato al governo prima da vice e poi da ministro a pieno titolo, riconfermato da Gentiloni. Draghi fu mandato a Francoforte da Berlusconi premier ma i frutti migliori del suo lavoro alla Banca centrale europea li hanno goduti gli ultimi governi di centrosinistra, che hanno beneficiato del quantitative easing e dei tassi d’interesse particolarmente bassi. La Marcegaglia è all’Eni su designazione del Rottamatore.

Inevitabili le reazioni negative di Salvini e Meloni: “Immaginare premier uno che paga le tasse in Svizzera, ha portato la sede legale della Fiat in Olanda e quella fiscale in Gran Bretagna significa aver perso la ragione”, ha sibilato la leader di Fratelli d’Italia. La prospettiva di un “papa straniero” è fumo negli occhi per chi dovrebbe allearsi con Forza Italia per ricostituire la vecchia coalizione. Tra gli azzurri si fa notare che evocare Marchionne serve innanzitutto per creare disorientamento nel Pd, non a lanciare una candidatura effettiva (l’ad della Fiat odia i palazzi della politica). Il suo è più un profilo, uno al quale possa attagliarsi il programma berlusconiano: flat tax, pensioni da 1.000 euro, abolizione del bollo auto. E se non si trova uno che abbia il profilo alla Marchionne, c’è sempre l’eterna riserva della Repubblica. L’immortale Silvio, naturalmente.