Nella pigrizia e nello svuotamento di idee delle teste cotte dal caldo ferragostano solo una pulsione pare muovere le menti politiche italiane: gli incroci di elaborate tattiche, incomprensibili ai più, sui presunti o attesi esiti delle elezioni regionali in Sicilia.

Tanto sforzo da tante parti per un obiettivo forse non fondamentale pare quasi nascondere la voglia di tutti di evitare ogni discussione su temi più importanti, davvero cruciali per il paese.



Non è un mistero infatti che Francia e Germania (Framania) stiano già discutendo di future riforme dell’Unione Europea e a questa Ue riformata potrebbe forse essere associata anche la Gran Bretagna dopo che la premier attuale Theresa May fosse fatta fuori in autunno. Col nuovo premier la nuova associazione britannica alla nuova Ue potrebbe essere convenientemente presentata come un’astuta mossa di “soft Brexit” da parte di Londra.



In tutto questo, debole di idee e di forza politica, l’Italia è assente. Ciò è oggettivamente conveniente, perché Roma, di solito superficiale, introduce confusione, e l’esclusione dell’Italia, importante come Pil e popolazione, manda fuori dalle discussioni anche Spagna e Polonia (più povere, meno popolose, ma politicamente più strutturate ed efficaci). La riforma dell’Ue nei fatti si presenta come un nuovo progetto carolingio, dove una Framania, con appoggio britannico e americano, si impone in Europa.

In ciò gli Usa, sempre più attratti in Asia, per la crisi nordcoreana, lo stallo di frontiera fra Cina e India e ora le nuove sanzioni commerciali contro la Cina per cessioni forzate di Ipr (diritti di proprietà intellettuale), possono avere convenienza ad appoggiare la nuova Ue. Il buon rapporto del presidente francese Macron con l’americano Trump può essere segno di questo.



In ciò nei fatti non importa chi governa l’Italia. O meglio importa nella misura in cui questi sarà il proconsole più o meno ligio di decisioni altrui. Cambiare tale situazione sarebbe semplice: basterebbe presentarsi con idee costruttive al tavolo Framanico, inglese e americano.

Ma gli attuali leader dei partiti italiani non hanno queste idee, spesso non riescono a capirle, allenati come sono a sapere tutto del loro microcosmo e a vedere nella politica estera solo personaggi da fumetto da imitare: Salvini che vorrebbe essere la Le Pen, Renzi che sogna di fare Obama o Macron, e nessuno che pensa di studiare seriamente la nuova Maria Teresa d’Austria, Angela Merkel.

Di qui la disfida siciliana. La destra per ora sembra pensare di vincerla preparandosi come a una vecchia elezione democristiana, battendo la campagna in cerca di portatori di voti da comprare con posti o favori. Progetti per il futuro dell’isola? Per ora, almeno, nulla. Forse la vincerà, ma come abbiamo detto su queste pagine, il metodo potrebbe portarle male nel futuro prossimo.

Le conseguenze più importanti però forse sono a sinistra. Il segretario del Pd Matteo Renzi ha detto che non è importante vincere nell’isola, nonostante alcuni suoi leader locali pensino di potercela ancora fare, viste le debolezze altrui. Evidentemente Renzi non vuole essere intrappolato da una sconfitta in Sicilia e costretto per questo a dimettersi. Ma questa assunto parte da una lettura forse vera della situazione. Renzi sa che dopo una sconfitta in Sicilia un redde rationem nel partito sarà inevitabile e per lui sarebbe la terza volta di fila, dopo il referendum, dopo le amministrative, dopo la Sicilia. I deputati che vogliono farsi rieleggere e che rischiano di non avere uno scanno o un posto in lizza con Renzi, naturalmente cercheranno di salvarsi, imputando tutte le colpe al capo: Renzi fa pubblico, fa audience, ma come grande personaggio che noi amiamo odiare. Ma poi quanti lo voterebbero?

Dunque la prospettiva dopo novembre, quando la Framania starà avanzando in Europa a tappe forzate, è che l’Italia sarà imbrigliata nella sua consueta rissa di piccolo potere: bando alle idee e lotta all’arma bianca per la sopravvivenza. In tali condizioni all’Italia andrà bene ogni cosa che arrivi da Bruxelles.

Per evitare questa impasse qualcuno, FI, Pd o M5s, dovrebbe presentare progetti realistici e per il futuro dell’Italia in Europa e risolvere le sue risse interne prima del voto siciliano, non dopo. Ma è difficile che ciò avvenga in Italia all’improvviso, dopo decenni di assenza di ogni grande calcolo politico. Quindi così si proceda.