“Una riforma dell’Europa con l’Italia spettatrice e non protagonista porterebbe danni sia all’Europa che all’Italia”, dice Enrico Letta, guardando Antonio Tajani, suo discussant durante l’incontro “60 anni dopo. L’Europa che c’è già, l’Europa da riguadagnare”, clou del lunedì del Meeting di Rimini. Il presidente dell’Europarlamento, pochi minuti dopo, annuisce: “Una leadership tedesca è troppo stretta per la nuova Europa. E non è sufficiente neppure un coinvolgimento della Francia. È necessario che Italia e Spagna abbiano un ruolo di pari impegno e dignità ai tavoli Ue”.
Non è l’unico punto su cui l’ex premier e l’attuale numero uno di Strasburgo mostrano forte e sostanziale sintonia durante la conversazione moderata da Giorgio Vittadini. Anzitutto: “Bisogna debrussellizzare l’Europa” (Letta). “La Ue non può essere un gruppo di uffici grigi che producono norme e mai risposte autentiche per i cittadini (Tajani). Poi: “È stata l’Italia, ancor prima dei Trattati di Roma a proporre una difesa europea comune, bocciata dalla Francia” (Letta): “Contro il terrorismo ci vuole un’Fbi europea”. Ancora: “Gli europei possono tornare a essere influenti solo se saranno uniti, divisi e in concorrenza fra loro rischiano di sparire, di farsi imporre le regole sul clima da Trump e dalla Cina” (Letta). “Se ho criticato la Francia per lo stop all’operazione Fincantieri, non è stato per favorire un campione nazionale, ma perché l’Europa ha bisogno di veri campioni europei” (Tajani). Non da ultimo: “Mario Draghi alla Bce è esempio perfetto di quali leader l’Italia riesca a fornire all’Europa” (Letta). “Non condivido il ricorso della Corte costituzionale tedesca contro la Bce, credo anzi che proprio la presidenza Draghi abbia confermato quale ruolo possa svolgere la politica monetaria della banca centrale nel contrastare la crisi e stimolare la ripresa” (Tajani).
Se Letta ha voluto riflettere su “quale Europa vogliamo lasciare ai nostri figli”, Tajani si è detto certo che l’Europa possa “andare oltre i padri fondatori dell’album di famiglia e creare nuove leadership”. Quando l’Europa è nata sul pianeta c’erano tre miliardi di persone, quando i babyboomers non ci saranno più i cittadini del mondo saranno 10 miliardi: “Io vorrei lasciare loro la civiltà che l’Europa ha dato a me, dalla tutela dell’ambiente a quella dell’infanzia”, dice Letta. E Tajani non cambia intonazione quando tratta terrorismo e immigrazione come temi distinti anche se collegati: quando “un cattivo maestro può ingannare dei terroristi bambini” vuol dire che l’Europa attorno non è ancora forte abbasta. Che resta ancora quella “dei soldi e delle banche”, quella smarrita e perdente dell’ultimo decennio. Quella che deve evidentemente riguadagnare molti dei suoi valori radicali: “Non è staccando i crocefissi dalla aule scolastiche che si integra chi giunge in Europa con altre fedi. Rispettare l’altro vuol dire anche farsi rispettare”.
È l’ora di un’Europa “responsabile” (Letta). Un’Europa che “non ha paura di porre al centro la libertà della persona” (Tajani). “L’Europa dei popoli, non importa se ci vorranno anni per riguadagnarla” (Vittadini).