TERREMOTO. Il ministro giusto per il giusto premier: Graziano Delrio e Paolo Gentiloni. Idee chiare, ma niente promesse da marinaio. Serietà e razionale gradualismo. Programmi a lungo termine e resistenza a oltranza alle tentazioni dell’imbonimento elettoralistico. L’ex sindaco di Reggio Emilia, l’ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio, l’attuale ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture, insomma, il “diversamente renziano” Delrio convince tutti, a Rimini, proprio quando dice che per gestire una materia incandescente, delicatissima e spinosa come quella della prevenzione dei terremoti occorre gradualità, occorrono anni di lavoro per recuperare decenni di inazione, non ci sono bacchette magiche. E mentre l’emergenza va fronteggiata come tale occorre, una buona volta, invertire la tendenza sulla prevenzione e varare una strategia sostenibile. Che metta in sicurezza, senza velleitari miracolismi ma senza indugio, quelle 10 milioni di abitazioni d’Italia che sono a rischio sismico.
“Dal 1945 a oggi”, rivela il ministro, “l’Italia ha speso 245 miliardi di euro per le ricostruzioni da terremoti e inondazioni, e ha pianto decine di migliaia di vittime. Per questo nel 2014, quando siamo arrivati a palazzo Chigi, abbiamo cercato di innescare un meccanismo di consapevolezza che inducesse gli italiani a investire contro il rischio idrogeologico. Per prevenire i danni delle inondazioni e dei terremoti. Il modello che abbiamo scelto è lo stesso adottato per la certificazione energetica: oggi anche i piccoli proprietari immobiliari sanno che una casa di classe A fa risparmiare soldi in termini di minor consumo energetico e vale di più. Ebbene: dobbiamo ottenere la stessa consapevolezza anche in termini antisismici, coinvolgendo i cittadini”. “Abbiamo introdotto le regole per rendere possibile la diagnosi e la classificazione sismica delle case italiane, introducendo anche la detrazione dell’80% dei relativi costi, fruibile in cinque anni. Ci crediamo fortemente. Vogliamo convincere gli italiani della necessità di farla”.
A questo punto la domanda diventa obbligatoria: quando e come si otterrà che gli italiani facciano, sul fronte della stabilità degli edifici, quel che hanno dovuto fare su quello degli impianti elettrici e dell’efficienza energetica? Cioè verificare la qualità degli impianti e cambiare o potenziare le strutture carenti? Quando si potrà obbligare i riottosi? Delrio non si sottrae alla provocazione. Non c’è nulla di deciso, ma in futuro non si può escludere: “Siamo in una prima fase nella quale vogliamo insistere con la persuasione, ci piace pensare che alcuni esempi di adesione spontanea dei cittadini alla messa in sicurezza delle case, come quello di Bolzano, si diffondano. Ma in futuro credo che qualunque governo, nel caso di risultati inadeguati della campagna di sensibilizzazione spontanea, dovrebbe prendere in considerazione l’obbligatorietà della norma”. Insomma: gradualismo, per non rischiare un’evasione diffusa da obblighi insostenibili; ma senza deroghe all’infinito.
Del resto, i soldi pubblici per finanziare la fase di diagnosi delle eventuali fragilità che, attraverso la classificazione, pone le premesse per individuare i necessari lavori di consolidamento sono stati stanziati: tra i 400 e i 500 milioni all’anno di sgravi fiscali che saliranno a fino a 1500 nel 2022. Ora, è giusto spenderli, dice Delrio: “Sarebbe oltretutto un elemento di dinamismo economico, com’è stato l’ecobonus che ha salvato una parte importante dell’industria edilizia, generando un mercato da 29 miliardi annui”. E spiega perché questa sottolineatura sull’opportunità della spesa: “Quando siamo arrivati a palazzo Chigi nel 2014 abbiamo scoperto che c’erano oltre 2 miliardi di stanziamenti mai sfruttati per il consolidamento idrogeologico, e anche da questa constatazione è nato il nostro piano d’intervento sulla messa in sicurezza del territorio. Siamo un Paese fragile. Ogni anno l’Italia spende 4,5 miliardi per riparare i danni dei terremoti e degli smottamenti di origine idrica, del resto sappiamo che fare è molto più difficile che pianificare, perché alla base c’è un grande problema culturale”.
Culturale? Eccome! Ed è qui il gradualismo s’impone: “Non nascondiamocelo”, argomenta Delrio: “È una materia sulla quale c’è anche un grosso problema di responsabilità della pubblica amministrazione, il sistema – perché funzioni – presuppone una sussidiarietà verticale che richiede molta responsabilità da parte di tutti, sul territorio: e non sempre l’ottiene”.
Non sempre ce ne sono le premesse minime reali, vuol dire – ma non dice – Delrio. Nell’Italia dei 9000 campanili, delle 9000 commissioni edilizie appesantite (senza offesa!) da geometri inadeguati, nell’Italia dei due milioni di immobili fantasma censiti dieci anni fa dai rilievi aerofotogrammetrici dell’Agenzia del Territorio, è ben velleitario promettere soluzioni istantanee. Bisogna sensibilizzare, non stancarsi di insistere, apostolizzare, premere, spingere, motivare: questa materia, conclude il ministro, richiede sempre e comunque un approccio di ampio respiro, sia nella gestione dell’emergenza che della prevenzione: “Sono utili i commissari, ma occorre la partecipazione corale di tutti, degli enti locali, dei Vigili del fuoco, dei volontari della Protezione civile. E per cambiare strutturalmente le cose occorrono anni”.
E poi, l’altra carta da giocare subito: applicare senza tentennamenti e senza la piaga del “ricorsismo” le regole che già ci sono: “Dobbiamo procedere senza tentennamenti con le demolizioni delle opere costruite male e illegalmente”, conclude il ministro: “In Italia si è costruito in molti luoghi troppo e male, e appunto anche illegalmente. Dobbiamo procedere con gli interventi che facciano rispettare le regole che già abbiamo, comprese quelle sulle demolizioni. Poche regole, ma chiare e inderogabili”.