Lo scoop l’ha fatto la Bild: Schäuble vuole modificare il funzionamento del fondo salvastati Mes per aiutare i paesi in crisi. La Germania cambierebbe le regole del meccanismo di stabilità europeo (Mes) per permettere agli altri paesi di attingervi “non solo in caso di fallimento, ma anche per migliorare le congiunture in periodi negativi e in casi di catastrofi naturali”. Verrebbe da dire: meno austerity, per permettere alle altre economie di comprare di più (tedesco). Ma a una condizione: quella di essere più subalterni di prima. Da lontano assomiglia vagamente a un’opportunità, in realtà è un’operazione capestro. Il perché lo spiega Alessandro Mangia, costituzionalista della Cattolica di Milano. “I contenuti delle modifiche ancora non si sanno — spiega Mangia — ma già oggi il Mes è preoccupante”.
Perché, professore?
Innanzitutto è molto costoso per i contribuenti italiani: dal 2012 l’Italia è tenuta a conferire al fondo 25 miliardi l’anno, fino al soddisfacimento dell’obbligo di conferimento di 125 miliardi sottoscritto dal Governo Monti. In secondo luogo è il Mes a decidere cosa fare.
“E’ il Mes a decidere”? In che senso?
Il Mes è un capitale personificato che ha soggettività di diritto internazionale. Più precisamente è un fondo comune di credito incaricato di andare in soccorso degli stati il cui fallimento possa destabilizzare il sistema finanziario, pubblico o privato, costruito sull’euro. Formalmente è un’organizzazione intergovernativa permanente, provvista di personalità giuridica, il cui capitale è sottoscritto dai membri della zona euro in proporzione alla rispettiva partecipazione alla Bce e gode della stessa immunità che a livello di diritto internazionale hanno gli stati sovrani. Per capirci: i funzionari del Mes non sono soggetti a nessuna giurisdizione, e locali e documentazione del Mes sono coperti da immunità diplomatica. E i ministri delle finanze che ne fanno parte hanno obbligo di riservatezza anche nei confronti dei parlamenti nazionali. Insomma, ha le prerogative di uno Stato, senza essere uno Stato.
Non è comandato da nessuno. Però verrebbe da pensare che al suo interno comanda il più forte.
Di fatto, è così. Come in una normale società di capitali, il soggetto che ha la maggioranza relativa riesce a dominare la situazione con enorme facilità. Fuor di metafora, comanda la Germania insieme ai suoi satelliti del Baltico e dell’Europa “core”.
Perché è stato costituito?
Per ricapitalizzare tanto singoli stati in difficoltà, quanto singoli sistemi bancari in crisi. Di fatto è stato pensato per compiere quelle operazioni di rifinanziamento che i trattati vietano espressamente alla Bce. E per questo viene genericamente definito un “veicolo finanziario”, ma potenzialmente è molto di più. L’idea che possa essere impiegato al di fuori dei casi previsti nel 2012 — che è poi ciò di cui si parla in questi giorni — tende a trasformare il Mes in qualcosa di simile al Fmi. E del ruolo del Fmi in questi ultimi decenni di crisi mondiale si sa abbastanza per essere preoccupati. Guardi alla vicenda di Sudest asiatico, Russia e poi Argentina dopo la crisi del ’97: ormai è chiaro che le ricette del Fmi più che risolto hanno aggravato la situazione di quei paesi.
Di nuovo con l’analogia tra stati e banche.
E’ inevitabile. Nel momento in cui le crisi bancarie devono essere risolte dal capitale pubblico si attenua molto la differenza tra ricapitalizzare un bilancio statale in difficoltà, come può essere quello greco, e ricapitalizzare un sistema bancario in crisi come può essere quello italiano, spagnolo o francese. E come è il sistema tedesco, con la differenza che Sparkassen e Landesbanken — e cioè le banche di sviluppo locale — sono rimaste fuori dal sistema di vigilanza unificato nella Bce.
Bene: il Mes ricapitalizza stati e banche. A quali condizioni?
Qui sta il punto. Lo fa “sotto stretta condizionalità”. Una formula che ormai è ricorrente nel diritto comunitario e che sottintende lo stesso schema delle amministrazioni controllate del diritto fallimentare. Nel momento in cui la banca creditrice entra nel cda della società debitrice, consente a questa di continuare ad esistere e ad operare. Ma in cambio del finanziamento il debitore rinuncia alla propria libertà e continua ad esistere fondamentalmente per ripagare i creditori. Diventa, se mi passa il termine, una vacca da mungere.
In questo modo la Germania capovolgerebbe a proprio vantaggio la crisi economica degli eventuali paesi che richiedessero l’aiuto del fondo.
E’ corretto. Se Berlino concedesse un prestito a Spagna, Grecia, Portogallo e, perché no, Italia “per migliorare le congiunture in periodi negativi”, come abbiamo letto, incasserebbe in termini di interessi una rendita sicura. Ricordiamoci che in questo momento il Bund ha un rendimento negativo. L’investitore tedesco potrebbe finalmente investire all’estero e avere un interesse positivo in quei paesi che fossero posti sotto la “stretta condizionalità” di cui parla il trattato. E in secondo luogo avrebbe il controllo sulle politiche macroeconomiche e di bilancio dello stato che viene finanziato attraverso il Mes.
Che scenario vede per noi?
Lo scenario? Preoccupante. Sono questi i veri temi su cui ci dovrebbe essere un dibattito pubblico, invece nessuno ne parla. Altro che referendum costituzionale: sono queste le vere riforme istituzionali che ci dovrebbero interessare, e cioè i cambiamenti di contesto in cui opera la Costituzione.
Il giocattolo terrà? O meglio: che cosa resta?
Il giocattolo è stato modificato a piccole dosi dal 1992 a oggi. E’ questo che si intende quando si parla di “trasformazione” piuttosto che di revisione della Costituzione. Chiediamoci se la normativa sul bail-in ha avuto o no effetti sull’articolo 47 della Costituzione che prevede la tutela del risparmio e quindi del piccolo risparmiatore. Oggi l’articolo 47 è come se non ci fosse. E questa eclissi non è dovuta ad una revisione costituzionale, quanto ad una trasformazione tacita della Costituzione, un altro pezzo della quale è stato messo in soffitta senza troppe proteste e senza alcun atto formale.
E’ la vecchia tecnica della rana bollita. Possiamo difenderci?
E’ il problema dei contro-limiti che dovrebbero essere attivati dalla giurisprudenza costituzionale a fronte di atti normativi dell’Unione o di atti di diritto internazionale che vadano ad incidere i principi normativi che caratterizzano il nostro ordinamento costituzionale. Persino un osservatore attento ed equilibrato di queste dinamiche, come è Massimo Luciani, ha iniziato a porsi il problema del possibile utilizzo della dottrina dei contro-limiti da parte del Parlamento.
Che cosa possiamo fare?
Non molto nel contesto offerto da questa classe politica, che sembra preoccuparsi solo di tamponare la situazione, calciando in avanti il barattolo. E che sembra incapace di costruire una strategia di lungo respiro in cui collocare queste dinamiche. Il punto è che senza una strategia d’insieme si finisce sempre per subire le decisioni altrui, come è stato il caso della normativa sul bail-in. Ed il bello è che il trattato Mes non fa nemmeno parte del diritto dell’Unione, ma è un semplice trattato internazionale.
Un normalissimo trattato internazionale!
Se è per quello nemmeno il Fiscal compact fa parte del diritto comunitario. Era — ed è — solo un trattato internazionale stipulato tra gli Stati aderenti all’area euro. E pensi all’effetto che un trattato ha potuto avere sulle politiche economiche di questi ultimi anni.
(Federico Ferraù)