Difficile comprendere esattamente quello che la Germania, attraverso la sua particolare “visione” europea, stia preparando per l’Italia. Si dice che sia entrato in campo direttamente Wolfgang Schäuble, il più tetragono a una visione di crescita europea e interessato soprattutto a un’egemonia teutonica che forse neppure il Kaiser Guglielmo II voleva ammettere fino in fondo.  



Il ministro delle Finanze tedesco cerca di mescolare le carte, difendendo soprattutto l’ormai organico surplus commerciale della Germania, in attesa delle elezioni tedesche, e non dando molto peso alle scelte decisive per lo sviluppo economico dell’Eurozona e in fondo di tutto il pianeta dopo lo “tsunami” finanziario” del 2007, risultato di assurdità economiche sbagliate, anacronistiche, care a un neoliberismo da 1820 e non solo alle visioni di una finanza poco morale, come dice qualche nostro illustre esperto in finanza. 



Schäuble gioca su due tavoli: da un lato guarda alla riunione che si svolge tra le montagne del Wyoming, a Jackson Hole, dove si deciderà, o meglio si capirà, se si alzerà di qualche quarto di punto il costo del denaro negli Usa e, per quanto riguarda la Banca centrale europea, se si metterà fine, si ridurrà (di quanto, quando e come) il Quantitative easing, lo strumento che ha immesso liquidità sul mercato e che ha assicurato una tenuta accettabile dei nostri titoli di Stato, anche se non c’è ancora un riscontro positivo sull’inflazione, che supera a stento l’1 per cento.



La Corte costituzionale tedesca ha storto il naso e ha passato la faccenda del Qe alla Corte del Lussemburgo. Schäuble lo ha formalmente difeso nei giorni scorsi, come dovesse sbrigare una pratica d’ufficio. Anche se sa benissimo che il suo banchiere alla Bundesbank, Jens Weidmann, tutte le volte che sente parlare di Qe “si sente male” e deve prendere “ansiolin” in dosi prussiane.

Ma Schäuble ha pensato subito alla contromossa, andando a mettere mano in prospettiva al Mes, il cosiddetto “fondo salva stati” (dove ovviamente comanda la Germania) che può riservare uno scherzo letale all’Italia e — in casa tedesca — induce a guardare con sospetto a tutti gli stati del sud Europa.

In questo modo, il ragioniere che guida il ministero delle Finanze tedesco cerca di mettere al sicuro per le prossime elezioni la signora Angela Merkel, uno degli “angeli sterminatori” dell’idea di Europa nata oltre 70 anni fa. Non sono solo quindi gli italiani che guardano alle urne quando si muovono politicamente. Di fatto, da Parigi a Berlino, di fronte al consenso elettorale o a quello dell’opinione pubblica, ci si muove come si fa in questi giorni in qualsiasi provincia siciliana. 

Il risultato di queste “pensate” di Schäuble? Un’incertezza economica ormai strutturale anche per i prossimi anni in quasi tutti i Paesi d’Europa e inevitabilmente maggiore in Italia che altrove, per l’impatto che ha avuto la crisi e la gestione dei governi tecnici nel nostro Paese.

All’incertezza strutturale di natura economica che persiste per questo traballante e instabile sistema economico, riverniciato di neoliberismo ma degno di rappresentare il post-feudalesimo nella storia mondiale, si aggiunge in Italia un’incertezza strutturale permanente sul versante politico.

Siamo a due mesi e mezzo dalle regionali della Sicilia e siamo di fatto in campagna elettorale per le prossime politiche da quasi un anno. Facciamo un piccolo elenco dei problemi che abbiamo di fronte?

Non c’è ancora una legge elettorale, ma esiste lo Zibaldone dei pensieri del Corriere, che si esercita, con i suoi acuti profeti, a ritornare sulle leggi elettorali di questi ultimi venticinque anni. Più che uno Zibaldone, per la verità, sembra la versione provinciale e riciclata da vecchi fumetti de “Alla ricerca del tempo perduto”, che con Marcel Proust non ha proprio nulla a che vedere.

Se non esiste la legge elettorale, non esiste neppure la possibilità di una maggioranza credibile che possa governare il Paese. Le coalizioni di sinistra esistono alla sera e si sciolgono il giorno dopo, con una facilità incredibile. Si parlava di una raggiunta unità almeno in Sicilia. Ma è già saltato tutto. Nel centrodestra, la situazione è speculare, perché tra Berlusconi, Salvini e la Meloni, l’arte della mediazione, o forse sarebbe meglio dire la vocazione della politica, è un fatto sconosciuto e misterioso.

Ci sarebbe l’alternativa pentastellata, lanciata da un comico, con l’aiuto di qualche giornalista del Corriere e di qualche residuato della “borghesia stracciona” italiana. Ma è veramente un’alternativa improbabile. La gestione del M5s a Roma è di una incapacità totale, con il ritornello ormai logoro della “colpa di quelli che c’erano prima di noi”. L’ultimo intervento fatto a Roma, nei confronti dei rifugiati eritrei (con la polizia che sembrava quella dei tempi di Mario Scelba e del “Battaglione Padova”) è stato compiuto con una irresponsabilità e una mancanza di razionalità da far venire i brividi alla schiena.

Mentre l’enigmatica Virginia Raggi taceva, si sono messi tutti a dichiarare a ruota libera. Le dichiarazioni si sprecano. Civati e Fassina, alternativi di sinistra, attaccano Minniti (ex comunista storico); Di Maio a sorpresa difende la polizia e si allinea con il centrodestra, ma in alternativa al centrodestra. Tutto il centrodestra furoreggia per la polizia. Ogni tanto parla anche Angelino Alfano, ma non se ne accorge più nessuno. Siamo nell’incertezza cronica, funzionale a chi deve gestire gli ultimi grandi affari di una stagione politica ed economica che lascerà solo diseguaglianze sociali e un lento impoverimento di quasi tutti i ceti sociali, esclusi ovviamente l’Internazionale “golpista” degli stockoptionisti.